COS’É ? Yoga Fit è un corso di Power Yoga a Pergine, uno stile yoga attivo, intenso, dinamico ed energizzante che unisce hatha yoga, vinyasa flow e pranayama per riscaldare e riattivare l’energia del corpo.
BENEFICI:
Migliora il tono muscolare di gambe, addominali, dorsali, glutei
Favorisce la circolazione sanguinea e ossigena i tessuti
Favorisce l’eliminazione delle tossine attraverso il sudore
Aiuta a controllare il peso
Bilancia lo stile di vita sedentario o troppo YIN apportando energia YANG
Riscalda il corpo e libera la mente
REQUISITI: Percorso adatto a tutti sebbene sia consigliato un minimo di preparazione fisica-allenamento o esperienza pregressa.
Quando si parla di Yoga si parla di un mondo davvero grande.
Chi si avvicina è spesso confuso dalle diverse tipologie di Yoga che si possono trovare e soprattutto dal loro numero. Addirittura qualcuno è arrivato a fare una mappa per guidare gli inesperti a scegliere il corso più adatto a loro.
Ginnastica Yoga – Yogya
Ciò che di solito l’utente medio conosce dello yoga è solo la parte più commerciale che a far bene dovremmo chiamare con un altro nome per non confondersi. Potrebbe interessare che secondo alcuni molte delle tipologie di Yoga moderne sarebbero riconducibili ad un’altra disciplina, chiamata dagli indiani Vyayama Vidia (sanscritoव्यायाम विद्या – vyāyāma vidyā) o Yogya (sanscrito योग्य yogya) che ha a che fare più con la ginnastica che non con lo Yoga.
Lo Yoga, così come ci è pervenuto dai Veda, dalle Upanishad, dai Purana e dai poemi epici indiani (Mahabaratha e Ramayana) è una disciplina che ha il fine di svelare al praticante la sua identità con l’Universo (Jagat) e con l’Essere Supremo (Parabrahman) attraverso una serie di processi di trasmutazione realizzati spesso grazie a stati estatici ricondotti sotto il nome di Samadhi.
C’è chi fa una sintesi di tutto questo e sostiene che lo Yoga è la Pratica del Samadhi, inteso come esperienza che trasforma mente, parola e corpo, e di conseguenza la realtà percepita fino a ciò che è definito Moksha, che si potrebbe tradurre con Realizzazione, Illuminazione o “Liberazione dalla Catena delle Rinascite”, sebbene limitare lo Yoga al Samadhi possa sembrare per altri estremamente riduttivo.
In ogni caso ricordiamolo: lo Yoga NON E’ una ginnastica ma una via di crescita spirituale che conduce alla liberazione in vita, ossia alla realizzazione del principio immanente e divino che sta oltre la realtà percepibile dei sensi.
Verso l’Ego o verso il Sè?
Anche Scuole di formazione Insegnanti Yoga come Yoga Planet, che organizza corsi di livello in tutta Italia, non hanno remore a definirsi scettici sull’evoluzione del mondo Yoga e come lo Yoga è diventato ai giorni nostri constatando quanto sia la distanza che si accumula ogni giorno da come lo Yoga sarebbe da intendersi.
Ci si permette quindi di dubitare di molte delle “vie” della mappa presentata sopra, sebbene più che sul “cosa” si dubiti è sul “come”. Infatti lo Yoga moderno e le sue tipologie di Yoga può condurre il praticante alla liberazione, ma dipende ovviamente da come viene insegnato e praticato. E’ un dato di fatto invece che la deriva della nostra contemporaneità sta rendendo lo Yoga sempre più un fenomeno mediatico in cui si coltiva l’Ego, per renderlo più bello, sano e forte, per aumentare i follower su instagram o il proprio sex appael, piuttosto che un cammino di accettazione e consapevolezza che va nella direzione opposta, allontanandosi quindi dall’identificazione egoica (ossia da ciò che crediamo di essere e che non siamo).
Lo Yoga delle Origini
E’ fuorviante anche credere che lo Yoga delle Origini non fosse contaminato dall’Ego umano, come è fuorviante credere che, a chi pratica con Ego ciò che sembra essere Yoga solo in apparenza, gli sia preclusa in questa vita una più profonda realizzazione o un salto coscienziale. In passato c’è sempre stato chi si è avvicinato allo Yoga per ottenere più potere, fama, successo.
Molti erano i praticanti che ammaliati dal mito delle Siddhi (poteri Yogici sovrannaturali, ben descritti negli Yoga Sutra) si dedicavano anima e corpo per acquisire capacità straordinarie e risolvere con queste una situazione di vita particolarmente dura, sfortunata o infelice.
Alcuni santi cominciarono proprio un cammino di questo tipo cercando ad esempio dei poteri per vendicarsi di alcuni torti subìti per poi, dopo aver visto realizzarsi il loro desiderio, accorgersi del male compiuto e convertirsi ad una Via di ben più ampia veduta e saggezza (vedi vita di Milarepa).
Nei testi antichi (Upanishad, YogaSutra…) le promesse fatte dalle sacre scritture vediche a chi con zelo osservava i sacrifici e le pratiche descritte ricompensavano spesso con gioie e conquiste non solo spirituali ma anche terrene che potevano ammaliare le rozze popolazioni che cercavano una svolta nelle loro vite condotte spesso senza morale.
Tuttavia la parte più nascosta e vera dell’insegnamento, detta Esoterica, rimane, seppur celata, viva nella trasmissione che giunge fino ai nostri giorni e tutt’oggi è capace di dispensare nettare di pura saggezza a chi è disposto ad un ascolto sincero e far spazio per ricevere.
Yoga Marga: differenti approcci al cammino spirituale Yogico
Quando si parla di Yoga Marga si intendono i Marga classici, ossia i differenti approcci allo Yoga come cammino di liberazione, e NON SONO le tipologie di Yoga comunemente intese come differenti “corsi” yoga bensì approcci profondi e filosofici al cammino della liberazione e sono:
Hatha Yoga
Raja Yoga
Bhakti Yoga
Janana Yoga
Karma Yoga
Per poter meglio comprendere questi approcci occorre conoscere gli assunti iniziali del pensiero filosofico indiano da cui originano le differenti vie.
L’uomo è incompiuto
La sua coscienza è in conflitto
Si chiede spesso: quando potrò essere felice? Come trovare la pace, la serenità, la gioia?
Qual è quella serenità che può dare compiutezza?
Quali possono essere i mezzi operativi per realizzarla?
La felicità è un effetto? Faccio qualcosa e sono felice? Ottengo qualcosa e poi sono felice?
Questa ricerca della felicità se fatta attraverso le cose materiali, sensoriali, emotive non conduce ad una felicità stabile e duratura bensì ad un godimento temporaneo e si è soggetti al suo “flusso/riflusso” alternando stati di godimento a stati di sofferenza/dolore. E’ l’ignoranza (Avidya) che ci porta ad spendere energie cercando la felicità dove in realtà non è possibile trovarla. Occorre pertanto dirigerci dove possiamo trovare pace duratura, ossia rivolgerci all’Assoluto.
E’ quindi nella conoscenza dell’assoluto, di ciò che è reale e costante, che possiamo riporre la nostra fiducia e dirigere il nostro intento e sforzi per conquistare lo stato di essere liberato, ossia che si libera dalla sofferenza (ma anche dall’Ego, dalla persona, da ciò che è irreale, non assoluto, non costante, perituro).
Per Praticare lo Yoga come Scienza Spirituale occorre:
Sete di liberazione
Aspirazione alla nostra controparte Divina
Avere quell’Eros (sete/brama intelligibile) di cui parla Platone
Libertà da pregiudizi e fanatismo dogmatico
Qualificazione coscienziale-psicologica
Conoscenza della visione filosofica dello Yoga
Vocazione per l’uno e l’altro tipo di Yoga
Perseguimento dell’etica Yogica nel quotidiano (Yama-Nyama)
(cit. Essenza e Scopo dello Yoga, Raphael)
Raja Yoga:
detto lo Yoga regale più comunemente si riferisce allo Yoga-Darsana (Filosofia Yoga) cosi come esposto concisamente negli Yoga Sutra di Patanjali, per questo detto anche Yoga-Classico. Il Raja Yoga è conosciuto anche con il nome di Asthanga Yoga o yoga delle otto membra sebbene sia diverso da ciò che oggi commercialmente viene commercializzato come Ashtanga Yoga, che è una Pratica fisica non descritta negli Yoga Sutra ma inventata da Patthabi Jois. Il percorso di maturazione yogica proposto invece da Patanjali è molto complesso e vasto sebbene sia dai più semplificato e sintetizzato dalle seguenti otto pratiche: rispetto morale (Yama), autodisciplina (Niyama), Posizioni (Asana), Controllo del respiro (Pranayama), ritrazione dei sensi (Pratyahara), concentrazione (Dharana), meditazione (Dhyana), e enstasi “Liberazione” (Samadhi).
Lo Jñāna-yoga rientra nella scuola di pensiero del Vedānta. Si basa su questi principi:
VIVEKA (‘discernimento’ metafisico tra il reale e l’irreale, l’eterno e il finito, la personalità umana e il Sé sovrapersonale);
VAIRAGYA (‘rinuncia’ a tutti gli oggetti terreni e paradisiaci);
TAPAS (le pratiche ascetiche o ascesi costituita dai ‘sei tesori’ – shad sampat:
sama ovvero il controllo dei pensieri;
dama ovvero il controllo degli organi sensoriali
uparati ovvero la rinuncia alle attività che non facciano parte dei doveri, del Dharma;
titiksha ovvero la fermezza interiore rispetto alle avversità e agli opposti piacere-dolore;
sraddha ovvero la fede rispetto all’insegnamento;
samadhana, cioè la concentrazione perfetta;
MUMUKSUTVA (l’intenso desiderio di emancipazione).
Il Jnana Yoga è il sentiero della conoscenza, mira a conoscere Dio, l’Assoluto, cercando di rimuovere l’ignoranza, l’illusione, la verità parziale. La causa del Samsara (ciclo delle nascite e delle morti) e della sofferenza come già detto è per la filosofia indiana da identificarsi con l’ignoranza (Avidya); essa agisce come un velo (Maya), che impedisce all’Essere di percepire la sua vera natura. Il percorso del Jnani consiste nell’abbattere questo velo d’ignoranza, principalmente per mezzo di una costante indagine ed esercizio di discriminazione di ciò che è reale da ciò che non lo è, ossia il non Essere dall’Essere.
Grazie alla meditazione costante e alla conoscenza di aspetti filosofici, egli comprende la sostanziale unità dell’Atman “essere individuale” con il Brahman “Dio o essere universale”, e realizza perciò di essere tutt’uno con l’Assoluto. Questo cammino però non deve essere inteso solo come un sapere intellettuale ma si tratta di comprendere quanto enunciato attraverso l’esperienza diretta.
Il Jnana Yoga è identificabile quindi con la strada del discernimento immediato. E’ una strada fatta di silenzi, intuizioni, illuminazioni, visioni, distacco, spassionatezza, che penetra i misteri ultimi della realtà e opera con le Idee e princìpi ideali sintetici archetipali. E’ una via di solitudine e astrazioni che ha alcune caratteristiche:
E’ la via del filosofo intuitivo-contemplativo, del metafisico, non del teologo/intellettuale.
Man mano che il discepolo rimuove ciò che non è, vive e incarna ciò che è. Lo Jnani cerca di svelare la Verità ed essere la Verità.
Jnana è anche studio.
Studio dei testi sacri ma non solo intellettualmente. E’ anche e soprattutto, alla luce di quanto esposto, comprenderli col cuore e farli propri. Viverli poi ogni giorno. Rendere vivi gli insegnamenti, incarnandoli.
Si rifà ai testi vedantici e alle Upanisad, all’Advaita Vedanta.
I tre mezzi di cui si avvale principalmente lo Jnani:
Ascolto
Riflessione
Meditazione
Grandi Jnani sono ad esempio Ramana Maharshi, M. Nisargadatta, Mooji, Papaji…
Hatha Yoga:
Hatha yoga pradipika
Le origini dell’Hatha yoga risalgono alla stesura dei primi Tantra – i testi classici del pensiero induista in cui vengono annoverate le pratiche e le regole di condotta per arrivare alla liberazione – ma la sua sistematizzazione vera e propria, secondo alcune scuole, si deve al mistico Gorakhnath, vissuto tra l’XI e il XII secolo, discepolo di Matsyendranath, che si dice fondatore di uno yoga incentrato principalmente su pratiche psico-fisiche.
Più che una dottrina filosofica è quindi un metodo pratico, disciplina psicofisica basata principalmente su asana e pranayama. Il potere di «immobilità» fisica nell’Hatha Yoga è importante quanto l’immobilità delle Vritti nel Raja Yoga. Consiste nell’assorbire più prana, imparare a non disperderlo e usarlo nel modo migliore.
Nei suoi testi si teorizza che attraverso la rigida disciplina – sadhana – volta al dominio del corpo e al controllo della mente, può essere stimolata la fusione tra il sé individuale e il sé universale, meta ultima dello Hatha yoga.
Prima di tutto sostituisce al precedente concetto upanisadico del corpo come centro di sofferenze, con una visione più positiva nei confronti della vita fisica, considerando cioè il corpo come uno strumento di grande, grandissimo valore nella via di emancipazione della persona.
Secondariamente integra in sé gli aspetti psicofisici con la dimensione spirituale.
In ultimo, con la sua grande attenzione data al corpo, ha sviluppato una profonda ed elaborata anatomia sottile, nella quale hanno sede il già ricordato prāṇa (forza vitale), i chakra (i diversi punti focali della forza vitale nel corpo sottile) e l’energia del serpente (kuṇḍalinī-śakti).
Hatha, letteralmente significa sforzo violento, ma il suo significato è più complesso. La parola è composta da ha (sole) e tha (luna), anche riferendosi al passaggio dell’aria nella narice destra (assimilata al sole) e nella narice sinistra (assimilata alla luna). Quindi lo Hatha Yoga vuole rappresentare l’insieme dei due respiri. Possiamo vedere nei due astri – il sole e la luna – il maschile e il femminile, le energie Siva e Shakti, il caldo e il freddo, il giorno e la notte, il cuore e la ragione, la testa e la “pancia”…Energie che tramite la pratica vengono unificate.
I testi dello Hatha Yoga:
L’Hatha Yoga Pradipika fu scritto all’incirca nel quindicesimo secolo dopo Cristo, da Svātmārāma, del quale sappiamo poco più che il nome. L’Hatha Yoga Pradipika è un manuale di pratica, un testo empirico ed operativo che fornisce indicazioni su come svolgere le diverse tipologie di esercizi.
Si compone di quattro libri.
Il primo libro espone il lignaggio, le raccomandazioni per il luogo della pratica, le posture del corpo (asana) e alcune norme alimentari.
Il secondo libro descrive gli esercizi di controllo dell’energia e del respiro (pranayama) e le pratiche di purificazione interna (shatkarmas).
Il terzo tratta l’energia kundalini, i canali di energia (nadi), l’incanalamento dell’energia attraverso di essi (mudra) e l’incanalamento attraverso particolari chiusure del corpo (bandha).
Il quarto ed ultimo libro espone il ritiro dei sensi (pratyahara), la concentrazione (dharana), la meditazione (dhyana) e il samadhi
Di tutti gli esseri che vivono in natura, solo l’uomo lavora per un compenso, solo l’uomo vuole trarre vantaggio e beneficio dalle azioni svolte, agisce per motivi egoistici e deve avere un tornaconto, se cosi non è tutti gli sforzi sono vani e la sofferenza inizia e fino a quando non otteniamo un merito o vantaggio quel pensiero non ci abbandona nemmeno nel sonno.
Ma dove siamo noi nel nostro corpo? E’ possibile dire “siamo qui” piuttosto che “lì”?
Chi siamo noi?
Se crediamo di essere il corpo, le nostre azioni si colorano di Egoismo e questo ottenebra la mente. Occorre quindi agire non più per sé stessi bensì con la consapevolezza che noi non siamo questo corpo.
Il Karma Yoga è il sentiero “dell’agire senza agire” o del distacco dai frutti dell’azione. Ciò implica determinarsi con un atto di pura azione senza attaccamento. L’individuo comune agisce mosso dal desiderio di avere, il discepolo di questo sentiero agisce senza desiderio di ricevere. E’ lo Yoga dell’azione (karma) insegnato dalla Bhagavadgita.
1. “O Janardana, se Tu consideri la conoscenza superiore all’azione, allora perché – o Keshava vuoi che m’impegni in questa terribile azione?
2. “Con queste parole apparentemente contraddittorie Tu stai, per così dire, confondendo il mio intelletto. Ti prego, fammi conoscere con certezza l’unica cosa mediante la quale potrò raggiungere il bene supremo”. Il Signore Cosmico disse:
3. “O Senza Peccato, all’inizio della creazione Io diedi al mondo la duplice via della salvezza. Il sentiero dell’unione divina attraverso la saggezza Jnana-yoga), per i saggi (i seguaci del Sankhya); il sentiero dell’unione divina attraverso la meditazione attiva (karma-yoga), per gli yogi.
4. “Nessuno raggiunge lo stato dell’inazione evitando di compiere azioni. Nessuno raggiunge la perfezione rinunciando semplicemente all’azione.
5. “In verità nessuno può rimanere neppure un momento senza agire; perché invero tutti sono ineluttabilmente costretti all’azione dalle qualità (guna) nate dalla Natura (Prakriti).
6. “L’individuo che controlla con la forza gli organi dell’azione, ma la cui mente ruota intorno ai pensieri degli oggetti dei sensi, viene chiamato ipocrita, uno che inganna se stesso.
7. “Mentre l’uomo che disciplina i sensi con la mente, senza attaccamento, mantenendo saldamente i suoi organi d’azione sul sentiero del karma yoga, questi – o Arjuna – ha grande successo.
8. “Compi le azioni che costituiscono il tuo sacro dovere, perché l’azione è migliore dell’inattività. Anche il semplice mantenimento del corpo sarebbe impossibile senza attività.
9. “Le persone del mondo sono legate karmicamente da attività diverse da quelle fatte come yajna (riti religiosi). O Figlio di Kunti, agisci perciò senza attaccamento, nello spirito dello yajna, offrendo le azioni come oblazioni.
Cap 3 Bhagavadgita
Questo tipo di azione, è ovvio, non è mosso dalla sfera dell’individuale né diretto all’individuale. L’abilità del discepolo di questo tipo di yoga consiste nel far morire l’io empirico, con i suoi contenuti di possesso e di acquisizioni, e nell’innestarsi al Principio per fini universali. E’ lo yoga delle persone di azione, delle istanze dirette all’agire nei vari campi dell’attività umana. Il discepolo diviene così strumento del volere divino assecondando il processo del divenire, comprendendo i sui ritmi e le sue modalità operative.
L’azione del Karma yoga esige lo slancio salutare della completa dedizione, della fedeltà e della devozione alla volontà dell’Essere universale; nella lotta per l’ideale e la giusta causa il candidato effettua la rottura di livello dell’io con impeto di sacrificio e d’immolazione.
Il karma yoga è dunque un metodo etico e religioso il cui scopo è quello di farci raggiungere la libertà attraverso l’altruismo e le buone azioni. Il karma-yogi non ha bisogno di credere in Dio, può anche non domandarsi che cosa sia la sua anima, può anche non legarsi ad alcuna speculazione di ordine metafisico. Il suo scopo essenziale è quello di liberarsi dall’egoismo e di giungervi attraverso le sue stesse forze…
Così la sola soluzione consiste nel rinunciare ad ogni frutto dell’agire, ed essere da questo distaccati… Quando un uomo può far ciò egli sarà un Buddha e troverà in sè la forza di lavorare in modo tale da trasformare il mondo. Quest’uomo rappresenta l’ideale più elevato del Karma Yoga.
Il karma yoga è uno yoga quindi non personale, è in contatto con gli altri e con il mondo. E’ sullo spunto del karma yoga che cominciamo a trasformare la nostra vita in qualcosa di spirituale. Spesso ci ritroviamo a ritagliarci del tempo per praticare in una vita frenetica fatta di impegni, di lavoro, di relazioni… Ma perché non usiamo invece questo tempo, che è in realtà la stragrande maggioranza del tempo delle nostre vite, e lo rendiamo spirituale? Perché non usare la vita stessa, l’azione come strumento per arrivare a Dio, per rimanere in contatto con Dio?
Abbandonare l’idea di ricercare questo o quello. L’azione avviene e la dobbiamo compiere affidandola a Dio.
Realizzare che noi non siamo l’Agente, ma solo osservatori. Anche se sembra che siamo noi a fare questo o quello è in realtà la Prakriti che agisce, mentre noi dallo stato del Purusa siamo l’imperituro osservatore. Mantenere questa consapevolezza nella vita conduce ad un agire puro, dove scompare l’agente e siamo totalmente nel flusso di Dio e della vita. La vita scorre attraverso la Prakriti della nostra natura materiale mentre noi restiamo equanimi osservatori. L’azione stessa diventa quindi venerazione e adorazione del divino.
Vivekananda ci offre alcuni spunti su come possiamo lavorare come discepoli del karma yoga.
lavorare sul mantenere l’osservazione (il testimone). Assomiglia al Jnana Yoga. “Quando vedi l’azione nella non azione e la non azione nell’azione” vuol dire che non bisogna sottrarsi al mondo e ai nostri doveri per realizzare la non-azione bensì togliere l’Ego dalle nostre azioni. Non verranno quindi fatte per l’Ego (la persona), e se non c’è un “io” che compie l’azione scompare l’azione stessa che non produrrà più karma.
Offrire le azioni a Dio (che da un certo punto di vista assomiglia alla via Bhakti). Esternamente si possono fare le stesse cose di sempre ma non importa cosa si fa ma come lo si fa. Prima di ogni azione si può dire: “Dio ti offro questo agire” e rammentarsi un paio di volte durante l’azione e al suo termine concludere offrendo ancora tributo a Dio. Si vive come se tutto ciò che ci circonda fosse Dio. Quando si parla agli altri, ci si relaziona, lo si fa con la consapevolezza che ognuno è Dio e che Dio è in ogni cosa.
Prapatti – Arresa completa a Dio. Lasciare a Dio il timone della nostra nave, affidarsi completamente a lui. Non resistere agli eventi, qualunque essi siano, ma offrirli a Dio. “Dio sia fatta la tua volontà non la mia”.
Vivere gli eventi come se fosse un gioco divino. Tutto è un gioco di Dio, anche le sofferenze, il dolore…tutto è un gioco. Tutto può essere trasformato in una danza in cui noi assistiamo osservatori alla danza di Dio e della natura che si svolge davanti ai nostri occhi. Ciò permette di conseguire una mente equanime sia nella gioia sia nel dolore.
Bhakti Yoga:
Yoga della devozione, è la via dell’unione con Dio per mezzo di una devozione profonda ed è uno dei rami principali della tradizione yoga dell’Induismo essendo la strada più percorsa. Secondo il Bhagavata-Purana ci sono molti sentieri di Bhakti Yoga a seconda delle diverse predisposizioni del praticante. Tra i vari cammini “marga” questo è detto essere il più diretto è semplice, non richiede grandi capacità intellettive o attitudini particolari. Il Bhakti Yoga è intenso amore per Dio: amore trascendentale.
Il principio del Bhakti Yoga è l’utilizzazione degli abituali legami della vita, caratterizzati dal gioco delle emozioni, per “impossessarsi” dell’Amato. La meditazione e gli stessi atti rituali non servono ad altro che ad aumentare l’intensità del contatto divino.
La parola bhakti deriva dalla radice bhj che significa “rendere onore”, “culto”, “servizio”, quindi porsi al servizio della Divinità con totale dedizione e abnegazione. Il discepolo che sperimenta questo approccio al Divino espande sempre più il suo sentimento fino a sentire realmente la Divinità in sè. E’ la strada di coloro che sentono l’amore per Dio così intensamente da voltare le spalle a qualunque allettamento del mondo. Per amore del Padre i devoti sanno amare tutto ciò che il padre ama: “Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.
Questo passaggio ricorda molto uno degli atteggiamenti bhakti consigliati anche per chi segue la via del Karma.
La bhakti, o servizio di devozione, ha in sé il potere di sciogliere il corpo sottile dell’essere individuale, come il fuoco presente nello stomaco digerisce tutto ciò che mangiamo.
SPIEGAZIONE
La bhakti è situata molto al di sopra della mukti, perché il servizio di devozione permette automaticamente all’uomo di liberarsi dalla prigione materiale.
Abbiamo qui l’esempio del fuoco che, nello stomaco, digerisce tutto ciò che mangiamo. Se il potere digestivo è sufficiente, tutti gli alimenti che ingeriamo saranno digeriti dal fuoco dello stomaco. Similmente, il devoto non ha bisogno di fare altri sforzi, separatamente dal servizio di devozione, per raggiungere la liberazione. Il servizio di devozione offerto al Signore Supremo rappresenta, in sé stesso, il metodo che lo porterà alla liberazione, perché impegnarsi nel servizio del Signore significa liberarsi dai legami materiali.
Sri Bilvamangala Thakura ha spiegato molto bene questa situazione dicendo: “Se ho una devozione incrollabile per i piedi di loto del Signore Supremo, la mukti, la liberazione, si mette a mia disposizione come un’umile servitrice, pronta a soddisfare tutti i miei desideri.”
Per un devoto la liberazione non rappresenta un problema, perché egli la ottiene automaticamente, senza sforzi separati. La bhakti, dunque, supera di gran lunga la mukti, il livello raggiunto dagli impersonalisti. Costoro praticano severe austerità e penitenze per raggiungere la mukti, mentre il devoto, semplicemente seguendo la via della bhakti, e in particolare cantando:
e rispettando i resti del cibo offerto al Signore Supremo, acquisisce subito il controllo della lingua. Se la lingua è controllata, anche tutti gli altri sensi saranno automaticamente sotto controllo. Il controllo dei sensi è la perfezione dello yoga, e l’essere trova la liberazione non appena s’impegna al servizio del Signore. Kapiladeva conferma dunque che la bhakti, il servizio di devozione, è gariyasi, più gloriosa della siddhi, la liberazione.
La Bahkti si divide in aparabhakti e parabhakti, vale a dire bhakti non suprema e suprema. La prima riguarda i piccoli misteri e opera sul piano della purificazione, dell’attivazione di qualità etiche, di armonizzazioni psicologiche, ecc. La parabhakti opera sul piano della trasfigurazione di sé fino a raggiungere la “perfezione del Padre” e l’identità con Lui. Si può dire che la prima è exoterica mentre la seconda esoterica, la prima si esprime nel campo individuale, sia particolare che generale, la seconda in quello neoetico, universale o del Principio. La prima riguarda l’ascetica, la seconda la mistica pura.
Il termine bhakti, abbiamo visto, significa partecipazione, devozione, donazione; e la donazione-devozione avviene mediante l’amore (prema). La bhakti è dunque il dono di sé al Padre per amore. L’amore è l’opposto dell’egotismo, egotismo che ha determinato la scissura; il rifiuto dell’unità e l’aderenza al molteplice, al particolare e all’individuale hanno l’uomo a scindersi dal Tutto e costituirsi come parte, come singolo tra singoli, in contrapposizione al Principio.
Anche il bhakti yoga è un percorso in tappe. Le prime preparano alla morte dell’io tramite la purificazione da tutte quelle dissonanze che oscurano e velano la vibrazione dell’Amore-principio trasformandolo in ottava più bassa nell’amore di sé, in desiderio. La purificazione non comporta solo il potenziare qualità morali (soggettive, psicologiche) ma implica anche trasformare lo stato vibratorio dell’intera personalità. Dopo la purificazione ne segue una trasfigurazione che rende l’individualità tersa e innocente, luminosa. Questa fase implica profonda interiorizzazione, solitudine e silenzio mentale. Si tratta di saper accordare l’orecchio alla musicalità sottile, superfisica del Cristo interiore. Ciò è anche opera di invocazione, evocazione, precipitazione e stabilizzazione del suono universale nel proprio cuore. Ciò significa che i due centri del cuore e della mente (anahata e ajna) si stanno armonizzando, coordinando e integrando: la mente e il cuore si fondono, l’amore è compenetrato dalla sapienza e la sapienza dall’amore.
Successivamente può morire l’intero complesso egoistico-individuale.
“Nessuno è ricco di Dio se non è costantemente morto a sé stesso, spogliato di sé stesso in Dio” (Meister Eckart)
Questo vuol dire che l’essere percepisce che è solo vibrazione d’amore, non è né un’individualità con dei corpi né un ente particolare; è solo amore vibrante perché il Supremo è suono coesivo, armonico accordo tonale svelante onnicomprensione, è centro dell’universo, è la nota fondamentale risuonante nello spazio, è mantra osannante. Non è questione di vedere o uscir fuori di sé, ma di essere; non è questione di osservare la forma-effige-immagine dell’Amato, occorre essere vibrazione cristica d’amore.
Successivamente il devoto, spogliato di Sè stesso, sentirà Dio vivere in lui ed agire al suo posto. Questa fase rappresenta il rapimento dell’amante per l’amato, il realizzare le nozze celesti; la coscienza si porta sempre più alla fonte stessa dell’amore fino a un punto di fusione, di unione.
Consigli per il praticante
Alla luce di quanto detto è bene dire che queste vie non sono antitetiche alternative l’una all’altra bensì possibilità di approcci alla stessa Via. Si intende che il Praticante potrà sentire sì più afflato verso un approccio piuttosto che un altro ma non è da intendersi preclusa l’opzione di avvicinarsi e simpatizzare per più di una via (marga).
Senz’altro lo sperimentare diversi approcci aiuta a trovare il proprio ma permette anche più elasticità mentale. Quando si sceglie una via è importante dirlo non “si sposa” un approccio ad vitam, cerchiamo di non costruirci attraverso il marga scelto una prigione mentale che ci allontana ancor di più dalla libertà anziché avvicinarsi. Si consiglia di mantenere sempre la mente fluida, capace di adattarsi ai cambiamenti interni, agli spunti che arrivano dalla vita stessa e la freschezza di saper prendere il lavoro fatto, in qualsiasi istante della vita, gettarlo via per ricominciare.
Nulla viene mai perso, solo la nostra capacità di vedere l’Ego che tenta di nascondersi anche in queste strutture mentali.
Volevo leggere ancora qualche pagina di “Yin Yoga” di Bernie Clark prima di dirigermi ai corsi Yoga. Seduto su una panchina, in un meraviglioso parco a Trento città, sono stato colpito da questa frase che vorrei condividere.
“We do not use the body to get into a pose, we use the pose to get into the body”
“Non ci serviamo del corpo per entrare in una posizione yoga, ma usiamo la posizione per entrare nel corpo.”
E’ per questo che è molto importante un corretto approccio allo Yin Yoga. Non dobbiamo prendere il corpo strattonandolo finché non raggiunge la posizione voluta. Anche se non si è raggiunta la posizione ideale, quella da rivista per intenderci, dobbiamo sapere che la posizione sta comunque lavorando contemporaneamente su molteplici aspetti, dal corpo alla mente, dall’energia alle nostre emozioni. Detto questo proviamo a fare silenzio, rimanendo immobili, e ci mettiamo in ascolto. Ascoltiamo il corpo che ci parla. Ascoltiamo i vari cancelli che si aprono, come piccoli e dolci inviti che possiamo cogliere e seguire per guadagnare un millimetro, o una frazione di millimetro. Ma è il corpo che ci invita, è dal corpo che parte il movimento dello Yin Yoga. Dobbiamo quindi entrare nel corpo, ascoltandoci, percependo i vari cambiamenti, spesso molto sottili, che possono avvenire…
“Ho visto accadere miracoli, quando le persone han detto semplicemente la verità.
Non la “bella” verità.
Non è la verità che cerca di compiacere o confortare.
Ma la verità selvaggia. La verità selvaggia.
La scomoda verità.
La verità tantrica. La “cazzo di verità”.
La verità che hai paura di dire.
L’orribile verità su di te
che ti nascondi per “proteggere” gli altri.
Per evitare di essere “troppo”.
Per evitare di essere vergognoso e rifiutato.
Per evitare di essere visto.
La verità dei tuoi sentimenti più profondi:
La rabbia che hai nascosto, controllando, congelando gli orrori di cui non vuoi parlare.
Gli impulsi sessuali che hai cercato di intorpidire.
I desideri primitivi che non puoi sopportare di articolare.
Alla fine, le difese si rompono,
e questo materiale “non sicuro” emerge
dal profondo dell’inconscio.
Non puoi più trattenerlo.
L’immagine del “bravo ragazzo” o “bella ragazza” evapora.
Il “perfetto”, il “colui che ha capito tutto”,
L’ lo ‘evoluto’, queste immagini bruciano.
Tu tremi, sudi, ti avvicini al vomito,
pensi di poter morire facendolo,
ma alla fine tu dici la fottuta verità,
la verità di cui ti vergogni profondamente.
Non la verità astratta. Non la verità “spirituale”.
Non una verità formulata con cura, progettata per prevenire l’offesa.
Non una verità ben confezionata.
Ma una verità umana disordinata, infuocata e sciatta.
Una sanguinaria, passionale, provocante, sensuale,
verità mortale selvaggia e non decantata.
Una verità traballante, appiccicosa, sudata e vulnerabile.
La verità di come ti senti.
La verità che consente a un’altra persona di vederti grezza.
La verità che fa sussultare.
La verità che fa battere il tuo cuore.
Questa è la verità che ti renderà libero.
Ho visto scomparire le depressioni croniche e le ansie che durano da tutta la vita da un giorno all’altro.
Ho visto evaporare profondamente i traumi incorporati.
Ho visto la fibromialgia, emicranie, stanchezza cronica, mal di schiena insopportabile, tensione corporea, disturbi allo stomaco, svanire, non tornare mai più.
Naturalmente, gli “effetti collaterali” della verità non sono sempre così drammatici.
E non entriamo nella nostra verità con un risultato in mente.
Ma pensa alle enormi quantità di energia che costa
reprimere la nostra natura selvaggia degli animali,
intorpidire la nostra natura selvaggia,
reprimere la nostra rabbia, le lacrime e il terrore,
sostenere un’immagine falsa e fingere di essere ‘ok’.
Pensa a tutta la tensione che tratteniamo nel corpo,
e il danno che fa al nostro sistema immunitario,
quando viviamo nella paura di “uscire”.
Corri il rischio di dire la tua verità.
La verità che hai paura di dire.
La verità che temi farà girare il mondo.
Trova una persona sicura – un amico, un terapeuta, un consulente, te stesso –
e lasciati entrare. Lascia che ti tengano quando ti abbatti.
Lascia che ti amino
mentre piangi, ti arrabbi, tremi di paura,
e generalmente fai un casino.
Dì la tua fottuta verità a qualcuno – potrebbe solo salvarti la vita, guarirti dal profondo e connetterti con l’umanità in modi che non avresti mai immaginato.”
Ho sentito parlare spesso di cose un po’ particolari.
Lo Yoga come molte discipline orientali si porta appresso un vocabolario di nomi e concetti davvero vasto che sicuramente disarma l’occidentale medio.
Per chi li sente la prima volta rischiano purtroppo di sembrare cose molto astruse. E non serve andare in India per sbatterci contro. Dalla fiera dell’oriente a Padova, al Sana di Bologna o ad uno dei tanti festival dello Yoga (quello di Merano è un esempio) ecco che subito si apre un mondo, si alza un sipario.
Reiki, Chakra, Aura, Energie sottili, canali energetici, corpo pranico, piano astrale, mantra, doppio eterico, kundalini…
C’è di tutto.
C’è da perdersi.
E con diffidenza solitamente ci si fa un’idea con ciò che appare di più, generalmente la prima facciata, quella consumistica.
Bagni di gong, cremine per aprire i chakra, lettura dell’aura, pendoli…
Non di rado ho visto persone sospettose dare un giudizio affrettato (e solitamente negativo) facendo di tutta un’erba un fascio.
I commenti si possono così riassumere
“un mare di sciocchezze”
“non c’è nulla di dimostrato”
…
Che tipo di persona sei?
Volessimo fare un gioco, potremmo raggruppare le persone in tre macrotipologie:
quelle scettiche, che rifiutano tutto ciò che non è dimostrabile a priori
quelle credulone che considerano vero tutto quello che viene detto loro
quelle che stanno nel mezzo.
Queste ultime si rendono conto che in ogni settore ci sono persone oneste e capaci e altre che se ne approfittano, si rendono conto che come in ogni cosa ci sono delle verità e delle fesserie e mantengono un atteggiamento aperto seppur accompagnato da un buon spirito critico.
Tuttavia è bene parlarne di questi argomenti, perché oggigiorno il marketing di questo settore ha ormai fatto arrivare alle orecchie di tutti o quasi parole come chackra, energia, aura…
Dove sta la verità?
Sono concetti reali o un mare di fandonie? Esistono i chackra?
Sicuramente per come è strutturata la nostra società, per le sue radici e mentalità, sono concetti lontani, talmente lontani che vengono generalmente rifiutati o considerati, nel migliore dei casi, fantasticherie, dolci storielle per allietare la notte ai bambini.
Per altre società, che nascono da contesti completamenti diversi, sono concetti molto più vicini e accettati dalla stragrande maggioranza delle persone.
Un esempio su tutti: la reincarnazione.
Abbiamo mezzo mondo che ci crede, l’altra metà che non ci crede.
Chi ha ragione?
Se chiedo ad un Cattolico avrò una risposta, se chiedo ad un Buddista un’altra.
Chi ha ragione?
Non è facile stabilire cosa è vero e cosa è falso, non è facile darsi una risposta. Non possiamo credere ciecamente a tutto né ritenere che tutto sia mera illusione, e perciò, come da tante altre parti, anche in questo settore il reale, la verità, non è evidente, ma nascosta: va cercata, messa in dubbio, provata, riconosciuta, rimessa in dubbio…in un processo costante di ricerca del vero e che non sempre, occorre dirlo, porta a rispondere alle domande con le quali siamo partiti.
Occorre precisare che è enormemente difficile non giudicare tutto e subito. In molti tendono a rifiutare questo mondo ritenendo i concetti incontrati pura invenzione dell’uomo. Tronfi dall’alto della nostra scienza e barricati in una gabbia di preconcetti e condizionamenti, è molto facile ritenere falso ogni cosa che non possa essere dimostrata scientificamente rifiutando a priori l’esistenza di qualcosa che ci è precluso o totalmente estraneo, un qualcosa che non è percepibile con i normali sensi di cui un essere umano dispone e talvolta nemmeno dalla sua tecnologia.
Ciò che vorrei proporre non è una risposta ma un diverso approccio al problema.
La parentesi storica: un esempio
Prima di Colombo tutti (o quasi) ritenevano che l’America non esistesse. Parlare di un gigantesco continente al di là dello stretto di Gibilterra era pura fantasia. Storie che si potevano raccontare la sera ai bambini per affascinarli. Ciò che la storia insegna è che possiamo stabilire con una buona certezza l’esistenza di ciò di cui abbiamo prove tangibili.
I numerosi reperti storici pervenuti ci aiutano ad affermare che Colombo è partito con le sue tre caravelle alla volta delle Americhe il 3 agosto 1492 (cercava una strada per l’Asia in realtà). Con le prove scientifiche possiamo affermare che questo fatto è accaduto.
Non possiamo però affermare ciò che comunemente (ed erroneamente) aggiungiamo noi, ossia che nessuno prima di Colombo abbia intrapreso lo stesso viaggio sbarcando vittorioso sulle coste americane.
L’errore è di logica.
Infatti queste “prove” scientifiche su Colombo sono assolutamente e logicamente non sufficienti, basta fermarsi un attimo a ragionare per capirlo, per asserire che nessuno prima di lui sia mai sbarcato in America. Questa seconda tesi, ossia “Colombo è stato il primo a scoprire l’America” per essere considerata vera avrebbe bisogno di altre evidenze scientifiche, come ad esempio la prova che nessuno è mai sbarcato sulle coste americane prima di lui, tesi evidentemente indimostrabile.
Accade anche che nel tempo la scienza faccia luce su questi aspetti dimostrando ad esempio che I vichinghi sbarcarono prima di Colombo.
La cosa importante è non ricadere nello stesso errore di logica.
Dire infatti che i Vichinghi sono stati i primi a sbarcare sulle coste dell’America equivarrebbe rifare lo stesso ragionamento di prima, semmai dovremmo dire che i Vichinghi, rispetto ai dati a noi pervenuti, sono i primi ma potrebbero anche non esserlo.
Bisogna lasciare la porta aperta.
Altri esempi.
Parlando degli Ufo ad esempio abbiamo una fetta di popolazione che ci crede ciecamente e un’altra che li nega completamente. Le loro tesi sono così riassumibili: “gli ufo non esistono perché non abbiamo mai avuto prova della loro esistenza” e “gli ufo esistono perché, anche se non abbiamo mai avuto prova della loro esistenza, è impossibile che in un universo infinito ci sia un solo pianeta ospitante esseri viventi”.
Tuttavia, per le prove che abbiamo (o meglio che non abbiamo), dobbiamo rifiutare entrambe le tesi perché nessuna delle due è dimostrata o smentita.
Dove sta allora la verità?
Esistono o non esistono?
“Così è se vi pare” diceva Pirandello, nel senso che in sostanza ognuno può credere a ciò che vuole.
Qualcuno invece suggerisce una terza soluzione al problema, ossia quella di “non credere” a queste tesi, in quanto né l’una né l’altra dimostrabili, lasciando il problema irrisolto. Questo ci permetterebbe di tenere l’argomento sempre aperto, e la mente sempre ricettiva al nuovo, ad eventuali evidenze che in un modo o nell’altro possano prima o poi far luce sulla questione. Se decidiamo arbitrariamente, senza ricerca, qual è la verità, perché abbiamo bisogno di credere a qualcosa stiamo in realtà offuscando il problema.
Ripeto allora la domanda: cosa possiamo considerare “reale”?
L’esempio dello Yoga
Cosa centra tutto questo con lo Yoga?
Senza esperienza diretta non possiamo affermare né l’esistenza dei chackra né che non esistano, e così via per molti altri concetti.
E se realizzate davvero questa frase capite anche che questo modo di affrontare la vita e questi temi è oltremodo destabilizzante: ci sradica completamente dalle nostre convinzioni. Noi amiamo le certezze e le rassicurazioni, è un amore che è scritto nel nostro DNA. Il bisogno spasmodico di certezze aiuta a dare un senso, un contorno a ciò che viviamo, a toglierci quell’ansia del futuro, quell’ansia che ci prende le viscere quando realizziamo che nulla è in nostro controllo. Abbiamo bisogno quindi di definire, delimitare il reale da ciò che non lo è.
Ma è davvero così semplice affermare questo o quello?
Dividere tutto in due bei gruppi, belli e distinti, ciò che esiste e ciò che è illusione?
Io credo non sia assolutamente facile dividere il mondo in due gruppi. E’ un esercizio che potrebbero forse fare i bambini nella loro inconsapevolezza e comunque, in base alla propria soggettività, farebbero gruppi sicuramente non corrispondenti gli uni agli altri, questo per dimostrare che tutti abbiamo idee diverse su ciò che esiste e ciò che non esiste.
Il sogno è reale o è illusione?
La sofferenza è reale o è illusione?
Il desiderio è reale o è illusione?
Una rosa è reale o è illusione?
Un chackra è reale o è illusione?
Abbiamo davvero troppe certezze.
Solo fermandoci un attimo in più a pensare possiamo lasciarle cadere facendo spazio alla fresca leggerezza delle domande. Siamo davvero convinti di troppe, troppe cose. La vita, la vita vera intendo, offre ben pochi appigli. Accade sempre qualcosa di inaspettato, che ci rovina i nostri meravigliosi progetti, i nostri perfetti e infallibili piani per il futuro.
Per questo affermo che ho trovato soprattutto domande, perché non mi basta un libro che parla di chackra per convincermi che esistano, né il fatto che non si possano dimostrare/misurare per convincermi che non esistano.
Mi sento un po’ come San Tommaso per certi versi, che ha bisogno di un’esperienza diretta (possibilmente ripetibile) per credere o non credere a questo o quello. In realtà San Tommaso non credeva fino a prova contraria, io invece lascio proprio il problema aperto e irrisolto in tutta la sua bellezza di essere un mistero senza dover per forza sbilanciarmi da una parte o dall’altra definendolo.
Con questo approccio lo Yoga diventa davvero un viaggio meraviglioso, senza dogmi, verità acclamate, fastidiose superstizioni. Lo yoga diventa pura esperienza personale e profonda indagine, vera ricerca scientifica dove si ragiona sulle tesi e sulle evidenze che il nostro corpo ci offre come risposta, un’avventura dentro se stessi, con i suoi momenti d’estasi e di sconforto, i suoi passi e le sue conquiste, o con la realizzazione che bisogna tornare indietro da capo e ricominciare nuovamente.
Per questo ho esordito “per uno yoga nudo e semplice”, intendendo uno yoga disadorno di tutti i concetti che sono stati tanto ripresi e inflazionati nel settore, uno yoga che non considera vero o falso a priori ciò che è scritto su un libro, ma che si propone come scopo l’esperienza diretta, con gran onestà intellettuale, pazienza e dedizione, e la consapevolezza che potrebbe anche essere che alcuni misteri, anche dopo tanto cercare, rimangano comunque tali.
Arjavam Yoga Trento, i nostri corsi Yin Yoga a Trento:
Yin Yoga
l’arte della quiete negli asana
Yin Yoga è una pratica semplice e dal ritmo lento, che agisce sul tessuto connettivo profondo del corpo. Allo stesso tempo aiuta a migliorare la capacità di movimento delle articolazioni, a stimolare il flusso energetico dei meridiani e degli organi, a calmare le emozioni, ed a preparare il corpo e la mente per stati profondi di meditazione. Mantenendo ogni asana per alcuni minuti e seguendo una respirazione profonda e consapevole, lentamente si cominciano a rilassare i muscoli, permettendo al tessuto connettivo profondo che avvolge i muscoli e danno forma alle capsule articolari (fascia, legamenti, tendini ed ossa) di nutrirsi, fortificarsi ed “allugarsi” in modo sicuro e terapeutico. La pratica Yin si focalizza sull’auto-osservazione e sull’ascolto. Quando si assume una postura, seguendo l’allineamento naturale, si lasciano andare tutte le distrazioni e idee preconcette e si porta l’attenzione in modo particolare nel momento presente, su un’intenzione e senza giudicare, sviluppando così la capacità di sentire il movimento nel non-movimento, di percepire le sensazioni del corpo o le emozioni che emergono, e di sentire il respiro, con la mente e con il cuore.
Lo Yin Yoga ha il solo scopo di rilassare e calmare e non include quasi mai una parte di lavoro Yang.
Lo Yin Yoga si ispira al concetto taoista di yin e yang, il giusto equilibrio tra forze opposte e complementari della natura. Tutto quello che è chiaro, mobile, caldo, flessibile, morbido ed attivo è di natura yang. È invece yin ciò che è scuro, quieto, freddo, rigido, duro e passivo. All’interno del nostro corpo, i muscoli sono di natura yang perché sono morbidi ed elastici, mentre il tessuto connettivo (fascia, legamenti, tendini, cartilagine ed ossa) è rigido, duro o poco flessibile ed è di natura yin. Il proposito è rilassarsi completamente nella posizione. Più a lungo si mantiene la posizione, più è possibile lasciare andare le tensioni. Di conseguenza nello Yin Yoga si lavora sui tessuti profondi come i tendini, la fascia e i tessuti connettivi.
Lo scopo dello yin yoga è dunque rilassare i muscoli e stimolare il tessuto connettivo applicandovi una tensione ottimale per un certo tempo e mantenendo una respirazione profonda. In questo modo il tessuto si allunga, si fortifica e si apre lentamente, creando più spazio tra le articolazioni, migliorandone il movimento e rendendole più salde, stabili e forti. Inoltre, secondo la teoria dei meridiani della medicina cinese, il tessuto connettivo ospita i punti d’incrocio dei canali (meridiani secondo la tradizione cinese o nadi secondo quella indiana) attraverso i quali scorre l’energia vitale, detta anche Prana o Chi.
Tale flusso energetico rallenta e ristagna, soprattutto attorno alle articolazioni (bacino e parte bassa della schiena, seguito delle ginocchia e le spalle), in mancanza di una corretta attività fisica. In tal caso, per equilibrare i meridiani, è particolarmente utile una pratica yin lenta e consapevole, in cui ogni posizione è mantenuta passivamente per alcuni minuti, per aprire e stimolare le articolazioni, e incrementare il flusso energetico.
presa di consapevolezza del proprio corpo (propriocezione), meditazione
riscaldamento
tecniche di Yin Yoga e Hatha Yoga, prevalentemente a terra, mantenute per un certo tempo
rilassamento, pranayama (esercizi di respirazione), meditazione, yoga nidra
Ciò che ci si può aspettare dal corso Yin Yoga Trento
Sebbene questo yoga sia principalmente statico e non impegnativo da un punto di vista energetico-muscolare (non si fa fatica fisica né si suda) è particolarmente sfidante invece da un punto di vista mentale perché si pone in completa antitesi alla diffusa iperattività fisica e mentale che tanto caratterizza la nostra società occidentale.
Non siamo più capaci di restare fermi e in pace con noi stessi.
Anche di fronte alla fila di un supermercato o semplicemente aspettando l’ascensore ecco arrivare la noia, l’impazienza, l’irritazione del dover aspettare, del dover attendere (e soprattutto del dover stare qualche istante con noi stessi).
Lo Yin Yoga è sostanzialmente diverso dallo Yang Yoga ed è Maestro nel ricollegarci a noi, allo stare con noi stessi e col nostro corpo.
Nello Yin Yoga “non si usa il corpo per entrare in una posizione ma si usa la posizione per entrare nel corpo” – Bernie Clark
Faccio notare che nel Tao, lo Yin (mezzaluna nera) pur completando lo yang contiene lo stesso principio Yang (rappresentato dal punto bianco) e viceversa. Questo principio che vede lo Yin e lo Yang non solo complementari ma che si contengono reciprocamente viene interpretato nello Yin Yoga come stasi (Yin) nel corpo e accesa Presenza mentale (Yang).
I tempi di stasi delle varie posizioni possono variare molto, sia da posizione a posizione sia durante il corso dell’anno proporzionalmente all’esperienza dei praticanti.
In linea generale all’inizio del corso le asana sono mantenute per circa 3 minuti l’una (si ricorre all’occorrenza al suono di un campanellino che aiuta nel mantenere i tempi) inframmezzate da alcune posizioni o movimenti che aiutano a compensare il lavoro fatto e a sciogliere ulteriormente la fascia. Verso la fine del corso vengono proposte Pratiche in cui un’asana o un gruppo di asana vengono mantenute per un tempo più lungo arrivando anche a 5 – 6 minuti per posizione.
Gli esercizi di concentrazione (Dharana) proposti durante le varie tecniche sono molteplici ma tutti miranti a radicare la persona nel momento presente facilitando lo stato meditativo (inteso come cessazione delle modificazioni mentali – Yogas Chitta Vritti Nirodha).
L’ancoraggio al corpo e alle sue sensazioni diventa leva importante per rimanere adesi al “Qui ed Ora” imparando a conoscere la mente, il funzionamento del pensiero e le reazioni emotive meccaniche ad esso correlate.
Yoga FitTrento è un corso di Yang Yoga, ossia uno stile di yoga dinamico ed energizzante, volto all’attivazione e al riequilibrio energetico della persona sia per la parte fisica che per quella emotiva e mentale. Sebbene le tecniche (asana) che si propongono derivino prevalentemente dall’Hatha Yoga verranno proposte anche alcune sequenze in Vinyasa dove verrà dato maggior rilievo all’utilizzo del respiro. E’ proprio un respiro intenso e consapevole che guida la transizione Vinyasa da una posizione all’altra ossigenando ogni cellula di ogni tessuto in modo profondo durante il movimento muscolare stesso. Per chiarezza: non è lo YogaFit® nato a Los Angeles negli anni ’90 anche se in parte può assomigliare. L’Hatha Yoga è costituito da un complesso di esercizi fisico-ginnici, o asana, e da esercizi di controllo della respirazione (più propriamente del prâna, «soffio vitale»), o pranayama, perfezionati nel corso dei secoli da generazioni di yogin. La pratica dello hatha-yoga tende al raggiungimento dell’equilibrio psico-fisico, di una maggiore consapevolezza dei nostri processi vitali, fisiologici e, più in generale, del nostro corpo in ogni sua parte. Come raggiungiamo tale equilibrio e tale consapevolezza? Con la pratica costante e regolare. Se analizziamo infatti il significato del termine hatha, scopriremo che esso indica appunto «sforzo», «ostinazione», «pertinacia». La pratica riveste quindi un’importanza fondamentale, andando a modificare lo stato mentale e fisico. Ecco alcuni dei più evidenti benefici:
miglioramento generale nello stato di salute;
maggiore calma e capacità di concentrazione;
tonificazione muscolare e miglioramento della mobilità articolare;
regolarizzazione del peso corporeo;
maggiore vitalità anche in età avanzata.
Il Vinyasa è invece una forma di yoga dinamico che, anziché far eseguire le posizioni in una semplice successione, le collega in un flusso. Le transizioni del vinyasa sono movimenti precisi che chiudono e aprono le asana in modo appropriato e con estrema attenzione, per condurre lo studente da una posizione all’altra in sicurezza e in modo coordinato con il proprio respiro.
Struttura della lezione di Yoga Fit
presa di consapevolezza del proprio corpo (propriocezione), meditazione/pranayama
riscaldamento
tecniche di Hatha Yoga e Vinyasa in piedi e a terra
rilassamento finale
Ciò che ci si può aspettare dal corso Yoga Fit
Le asana vengono introdotte agli allievi lentamente e per gradi. Dopo un primo periodo in cui si approfondiscono le varie posizioni e gli allineamenti (anche questi trasmessi un po’ per volta e per importanza) verrà dato più spazio al flusso (Vinyasa Flow) e al lavoro di attivazione energetica muscolare. Verranno proposte nella seconda metà dell’anno anche alcune asana di forza (arm balancing poses) conosciute ai più grazie al Power Yoga ma derivanti da ben più antiche origini, attraverso cui gli allievi potranno cimentarsi con delle posizioni sfidanti ricordando sempre però che non ci dovrebbe interessare la prestazione bensì l’osservazione del nostro stato interno durante il processo di apprendimento volto ad un percorso autoconoscitivo delle nostre reazioni emotive meccaniche.
Il Grande Sigillo non può essere insegnato, ma tu, benedetto, intelligente Naropa, che affrontando le difficili prove sei paziente nella sofferenza grazie alla devozione verso il maestro, accogli nel cuore queste parole.
Lo spazio si appoggia forse su qualcosa? Similmente, il Grande Sigillo non ha nulla su cui appoggiarsi.
Rimani rilassato nello stato naturale inalterato.
Se si rilasciano i legami senza dubbio si è liberi.
Quando si osserva il centro dello spazio si cessa di vedere tutto il resto.
Similmente, se si osserva la coscienza, le forme di pensiero si dissolvono e si consegue il sommo risveglio.
I banchi di nebbia si dissolvono nello spazio senza andare altrove né rimanere da qualche parte.
Similmente, le forme di pensiero scaturiscono dalla coscienza, ma quando si ha la visione della propria coscienza l’onda delle immagini mentali si dissolve.
La vera natura dello spazio non ha né colore né forma e non è condizionata né dal bianco né dal nero.
Similmente, l’essenza della propria coscienza non ha né colore né forma e non è condizionata né dalla virtù né dal vizio.
Il cuore del sole chiaro e limpido non può essere oscurato dal buio delle ere cosmiche.
Similmente, la chiara luce che è l’essenza della propria coscienza non può essere oscurata dal ciclo delle ere cosmiche.
Si definisce “vuoto” lo spazio, ma lo spazio è indicibile.
Similmente, la propria coscienza è detta “chiara luce”, tuttavia in essa non c’è nulla che possa essere definito dicendo “è così”.
Dunque, la vera natura della coscienza è sin dal principio come lo spazio, e non c’è nulla che non confluisca lì.
Smetti di fare qualunque movimento fisico e rimani tranquillo nello stato naturale.
Non hai nulla da dire, i suoni sono vuoti come l’eco.
Non hai nulla a cui pensare, contempla ciò che trascende la mente.
Il corpo umano come una canna di bambù, la coscienza al di là dei pensieri come il centro dello spazio: rilàsciati in questo stato senza perdere la consapevolezza né trattenere nulla in mente.
La coscienza senza punti di riferimento è il Grande Sigillo.
Prendendo dimestichezza con questo stato si ottiene il Sommo Risveglio.
La visione del grande Sigillo, che è chiara luce, non può essere conseguita attenendosi alle esposizioni dogmatiche e alle scritture proprie sia del sistema exoterico: sutra (insegnamenti), vinaya (regole), abhidharma (filosofia), paramita (perfezioni) sia di quello esoterico: tantra.
Infatti la visione della chiara luce è ostacolata dal dogmatismo.
L’osservanza dogmatica dei precetti equivale a non mantenere il vero impegno.
Non avere fissazioni à libertà dal dogmatismo.
Il pensiero è come l’onda che si alza e ritorna naturalmente.
Se non si possiede la consapevolezza del valore autentico, al di là delle idee fisse e comportamenti rigidi, l’impegno spirituale è mantenuto come una lampada che elimina l’oscurità.
Quando si è liberi dal dogmatismo, perché non ci si fissa più su una conclusione, si consegue la visione del vero significato di tutti gli insegnamenti.
Se si penetra questa verità ci si libera dalla gabbia del divenire. Se si contempla questa verità si brucia tutto ciò che oscura e causa sofferenza.
Chi così realizza è detto “lampada dell’insegnamento”.
Gli sciocchi che non stimano questa verità finiscono per lasciarsi trascinare dalla corrente del divenire. Poveri sciocchi che devono sopportare questa insopportabile sofferenza!
Se essi desiderano porvi fine devono seguire una guida esperta e far discendere nel proprio cuore l’energia spirituale, così la loro coscienza sarà libera.
Oh, vivere condizionati dal divenire non ha senso e causa sofferenza. L’azione mondana è senza valore, perciò si consideri cos’ha valore e senso.
Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto.
La suprema meditazione è non essere distratti.
La suprema condotta è assenza di sforzo.
La realizzazione della mèta è non avere né speranza né timore.
La vera natura della coscienza è chiarezza al di là delle immagini.
La mèta della via degli esseri risvegliati è conseguita senza una via da percorrere.
Il sommo risveglio è realizzato senza qualcosa da praticare.
Oh, considera bene l’esistenza mondana. Essa è transitoria, come un’illusione e un sogno non è qualcosa di reale. Perciò pentiti e lascia l’azione mondana.
Taglia completamente i legami affettivi con il tuo seguito ed il tuo Paese. Medita da solo in un eremo di montagna o nella foresta.
Rimani nello stato in cui non c’è nulla da meditare.
Quando otterrai ciò che non è da ottenere, allora otterrai il Grande Sigillo.
Dal tronco di un grande albero si sviluppano rami e foglie, però se lo si taglia di netto alla base tutti i rami seccano.
In modo simile, quando si recide la mente alla base seccano le foglie e i rami del divenire.
L’oscurità accumulata durante le ere cosmiche è cancellata da una lampada.
Similmente, l’unica chiara luce della propria coscienza dissipa gli oscuri ostacoli dell’ignoranza accumulati durante le ere cosmiche.
Oh, tramite l’intelletto non si ha visione di ciò che lo trascende; tramite l’azione non si comprende ciò che la trascende.
Se desideri attingere ciò che trascende l’intelletto e l’azione, recidi la tua mente alla base e lascia la consapevolezza nuda.
Lascia che l’impura acqua dei pensieri si schiarisca.
Lascia la realtà fenomenica così com’è, senza affermare né negare.
Quando non c’è più attaccamento né rifiuto, si comprende che l’esistenza è il Grande Sigillo.
La base di tutto non è nata, perciò è libera dal condizionamento delle tracce psicologiche.
Rimani nell’essenza non nata, senza orgoglio e calcolo.
Lascia che i fenomeni appaiano naturalmente e le immagini mentali si dissolvano.
Il supremo modo di vedere è la completa libertà dal dogmatismo.
La suprema meditazione è la vasta profondità senza confini.
La suprema condotta è la rottura dei limiti.
La suprema mèta è lo stato naturale senza più aspettative.
La mente del principiante all’inizio è come una cascata, poi diventa come il fiume Gange che scorre tranquillo, infine è come il confluire dei fiumi nell’oceano, quando madre e figlio si incontrano.
Se si è dotati di capacità inferiori, non essendo in grado di rimanere nello stato naturale grazie alle istruzioni precedenti, occorre mantenere la pura consapevolezza attraverso il controllo della respirazione. Inoltre, tramite la fissazione dello sguardo si può concentrare la mente in vario modo, finché non si riesce a rimanere in uno stato di pura consapevolezza.
Se ci si affida al “sigillo dell’azione” si può sperimentare il sentire non duale del piacere e del vuoto: quando la sacra energia del metodo e dell’intuizione è armonizzata, va fatta scendere lentamente, poi deve essere trattenuta, tirata indietro, ricondotta alla fonte ed espansa in tutto il corpo.
In questo momento, se non c’è più desiderio, sorge il sentire non duale del piacere e del vuoto.
Chi pratica in questo modo avrà vita lunga senza capelli bianchi e crescerà come la luna; avrà un aspetto luminoso e la forza del leone; otterrà velocemente i poteri ordinari e rimarrà assorbito nel sommo risveglio.
Questa istruzione personale sull’essenza del Grande Sigillo possa rimanere nel cuore degli esseri destinati a riceverla.
Yoga Fit è uno yoga dinamico ed energizzante, volto all’attivazione e al riequilibrio energetico della persona sia per la parte fisica che per quella emotiva e mentale.
Yin Yoga è uno yoga lento e interiorizzato dove si lavora in modo profondo sul corpo andando a beneficiare sul tessuto connettivo, sui legamenti e sulla capacità di concentrazione della mente per riacquistare il controllo dei nostri pensieri. Le tecniche vengono eseguite quasi sempre a terra rilassando il corpo con l’utilizzo della gravità e ausilio di mattoncini, cuscini, bolster…
Lezioni rivolte a coloro che preferiscono una pratica dolce e che si avvicinano allo yoga per la prima volta.
Ideali per migliorare la respirazione, sciogliere tensioni muscolari, ritrovare flessibilità e forza nella schiena, stabilità emotiva e serenità.
Lezioni adatte a qualsiasi livello d’esperienza dove si alternano movimenti dolci a posture statiche di rilassamento e allungamento.
Vengono affrontate: Posture di Hatha Yoga e varianti semplificate che si adattano alle differenti possibilità di ciascuno, esercizi di respirazione (Pranayama) per l’equilibrio del sistema nervoso, mudra ( per favorire il respiro e la postura) e rilassamento guidato alla fine della lezione (Shavasana).
Requisiti: Aperto a tutti, non serve alcuna esperienza Yoga pregressa.
Cosa vuol dire meditare? Una delle tante definizioni che si potrebbero dare è questa, di Eckhart Tolle “Creare un intervallo senza mente nel quale sei fortemente presente e consapevole di non pensare.”
Numerosi sono gli studi scientifici sui benefici della meditazione e sulle modificazioni delle onde mentali durante tale disciplina. Non verrà data qui l’ennesima lista per convincere a trovare del tempo ogni giorno per sedersi qualche istante a gambe incrociate. Viene lasciato solo l’invito ad integrare nella nostra quotidianità uno o più momenti in cui sia possibile sedersi senza fare o aggiungere nulla e vedere cosa accade in prima persona.
Citando Alan Watts
“Meditazione è la scoperta che
la meta dell’esistenza
è sempre raggiunta
nell’istante presente.”
Il corso di meditazione (Dhyana) prevede l’avvicinamento alla disciplina in modo graduale, imparando tecniche di respirazione (Pranayama) e concentrazione (Dharana). A completamento del corso alcuni approfondimenti di storia e filosofia Yoga, Sistema Sankhya, Raja Yoga (Yoga Sutra di Patanjali), tipologie di Yoga, scuole duali e non duali (Advaita) e visione Tantrika.
Requisiti: Aperto a tutti, non serve alcuna esperienza pregressa.