Può essere che con la pratica dello yoga ci si ritrovi in lacrime senza capire perché.
Piangere.
Liberamente piangere.
Lo Yoga e il pianto.
Ogni tanto è facile risalire al motivo del pianto, altre meno, tuttavia accade.
Può essere che accada durante la pratica, durante un rilassamento, subito dopo…
Qualcosa emerge.
Qualcosa si è finalmente concesso di uscire, di sciogliersi.
Yoga è anche questo.
E’ permettere che le cose accadano senza resistenza. La resistenza è contrazione, è lotta, è l’opposizione fisica-mentale agli eventi per come si mostrano e si manifestano, è il “no” interiore che viene consciamente o inconsciamente detto davanti al qui ed ora, davanti al dispiegarsi degli eventi della nostra vita. Quando allunghiamo delle fasce muscolari in un’asana il lavoro è proprio l’opposto: cercare, presenti nel corpo, di lasciar andare, di fidarsi della posizione, di permettere al corpo di sciogliersi, di accettare anche del leggero attrito se questo si presenta.
La visione Taoista
Secondo la filosofia Taoista le emozioni vengono collegate ad un determinato organo interno non solo per diretta risonanza ma per un’effettiva capacità dell’organo di immagazzinare l’emozione, di modificarsi o di ammalarsi in squilibri con quel tipo di emozione.
Così, lavorando in determinate asana sul meridiano dei polmoni si va a sciogliere anche una eventuale sacca emotiva legata ad un evento vissuto particolarmente triste che emergendo si può liberare ad esempio con un pianto spontaneo, anche dirompente.
La Pratica della Presenza
Pure la Pratica stessa della Presenza (cit Eckart Tolle) ad esempio può portare ad un meraviglioso pianto. Entrando sempre più in profondità nel momento presente è possibile avere delle realizzazioni intuitive fulminanti su noi stessi o su quello che ci circonda. Può essere ad esempio che incrementando il nostro stato di attenzione (alertness) ci accorgiamo di meccanismi/dinamiche interne di cui prima eravamo completamente all’oscuro. Ad esempio potremmo accorgerci, realizzandola non solo mentalmente ma vedendola, cogliendo il meccanismo in atto, della nostra resistenza al pianto. Potremmo vedere la difficoltà che abbiamo di lasciarci andare al pianto e realizzare quanto la società ci abbia condizionati e di quanta violenza stiamo facendo a noi stessi reprimendo la tristezza e la capacità di lasciar fluire le lacrime.
Antichi condizionamenti
In effetti fin dalla nascita siamo educati a non piangere, a bloccare le emozioni anziché farle scorrere.
Dire “Sii forte, sii uomo” ad un bambino che piange equivale a dire “Se piangi sei un debole, non sei un uomo, gli uomini veri non piangono mai”.
E lo stesso vale per tante altre emozioni che vengono giudicate “negative” .
“Non bisogna arrabbiarsi, non bisogna avere paura, non bisogna essere tristi…”
e ci scopriamo castrati perché invece di imparare un giusto modo di esprimere le nostre emozioni vivendole (e facendole quindi fluire, scorrere) vengono represse generando blocchi e sacche emotive che danneggiano gli organi corrispondenti con possibile comparsa di patologie di vario genere.
Non sto dicendo che tutte le malattie derivino da emozioni non elaborate, ma piuttosto sto proponendo al lettore di considerare la possibilità a cui ci introduce la medicina tradizionale cinese che forse le emozioni stesse e la capacità di viverle giochi un ruolo importante nella comparsa di un generico disturbo psicofisico.
Maturazione Emotiva
La nostra società è purtroppo basata su una maturazione disomogenea dell’essere umano. Cresciamo individui bravissimi sotto molteplici aspetti ma manchiamo nell’insegnare ai nostri figli cosa vuol dire maturare anche emotivamente, e da questo i numerosi problemi che i giovani d’oggi si ritrovano a vivere, con sfoghi d’ira che portano a violenze o depressioni talmente profonde da non aver più voglia d’uscire di casa, o peggio. Se l’individuo matura emotivamente avviene sovente con grande sforzo e sofferenza, quasi sempre in seguito ad eventi traumatici che nostro malgrado “ci svegliano” e “ci fanno crescere”.
Capisco benissimo lo stupore e il disagio in chi si appresta allo yoga da poco tempo il ritrovarsi in lacrime durante una Pratica, avendo io stesso vissuto questo tipo di educazione e sperimentato in prima persona numerosi pianti, ma incoraggio allo stesso tempo questo tipo di percorso essendo estremamente liberatorio e di grande aiuto come indagine psichica offrendoci un’opportunità di maturare a livello emotivo senza dover per forza di cose incorrere in eventi traumatici.
Accettare allora il pianto che emerge spontaneo diventa quasi una benedizione e riflettere su cosa quel pianto si porta appresso diventa prezioso consiglio realizzativo.
Non sa perché, ma ci sono degli argomenti che se vengono toccati lo fanno scattare, come una molla.
Jhon comincia a fare un corso di yoga.
Jhon si arrabbia anche a yoga.
Jhon, comunque, persiste.
I primi effetti dello yoga: Jhon impara a osservare e ascoltare il corpo, riconnettendosi ad esso.
Dopo qualche tempo, Jhon si rende conto di come la rabbia lo stia consumando. Collega la rabbia alla sua difficoltà di digerire.
Jhon comincia a chiedersi se e come potersi cambiare.
Jhon capisce di cosa ha bisogno. Ha bisogno di ragionare su cosa lo fa scattare come una molla, ha bisogno di andare a fondo dentro se stesso. Ha anche bisogno di accorgersi prima di arrabbiarsi cosa sta accadendo, perché solo prima dello sfogo può fare la scelta e cambiare la sua reazione.
Jhon, dopo uno sfogo di rabbia lascia il corso yoga e smette di praticare per 4 mesi.
Jhon ricomincia la pratica dello yoga.
Jhon capisce che la sua rabbia è fastidio/intolleranza verso le altre persone. Spesso ciò che fanno gli altri gli provoca nervoso e insofferenza. Lui non accetta che gli altri non si impegnino come fa lui, non accetta il pressapochismo e il menefreghismo. Lui è preciso. E’ sicuro che avrebbe fatto meglio ogni cosa.
Jhon, comincia a fare yoga quotidianamente, da vero perfezionista.
Jhon comincia ad avere una consapevolezza più ampia, profonda. E’ più presente a se stesso nel corso della giornata.
A Jhon capita un evento strano. Durante uno dei suoi sfoghi di rabbia si “vede” dall’esterno. Si accorge durante lo sfogo che è nell’emozione-rabbia. Tuttavia non riesce ancora a fermarla ma assiste come spettatore a se stesso.
Jhon inserisce nella sua pratica quotidiana la meditazione.
Jhon attraverso lo yoga e la meditazione aumenta la sua presenza mentale.
Jhon impara ad osservare i suoi pensieri.
Jhon impara ad osservare le sue emozioni.
Jhon sta imparando sempre più ad essere “osservatore” di se stesso.
Jhon si ritrova in alcuni eventi che lo fanno arrabbiare moltissimo. In uno dei suoi sfoghi di rabbia dice cose non avrebbe dovuto dire ad una persona ferendola profondamente. Jhon sente come se stesse facendo dei passi indietro.
Jhon si ritrova ad essere incostante nella sua Pratica quotidiana e smette di Praticare.
Jhon si vede debole, e non accetta di esserlo.
Jhon si vede imperfetto, e non accetta di esserlo.
Jhon ricomincia a Praticare.
Jhon accetta che il percorso di crescita non sia una linea retta.
Jhon si ritrova sempre più spesso nella condizione di “osservatore” durante i suoi sfoghi di rabbia.
Jhon va più a fondo. Si chiede perché ha questa mania di perfezionismo. La mania di perfezionismo è legata al suo bisogno di eccellere. Il suo bisogno di eccellere è legato alla sua paura di non valere abbastanza.
Jhon vive dei momenti di grande pace durante la meditazione. Durante lo yoga invece è sempre più connesso al corpo, vivendo consapevolmente anche più sottili modificazioni, che siano fisiche emotive o mentali.
Jhon vive un evento speciale. Jhon si accorge della modificazione emotivo-mentale che sta avvenendo dentro di lui proprio nell’istante prima di sfociare nella rabbia. Nel momento in cui ne è diventato consapevole si disidentifica e la rabbia scompare.
Jhon capisce che la paura di non valere è la paura di non essere accettato dagli altri e di conseguenza è la paura di non essere amato.
Jhon lentamente comincia ad amare anche questa sua parte più fragile che ha paura.
Jhon riesce a vedere sempre più spesso come uno spettatore il suo Ego mentre ha paura o viene ferito dagli altri. Impara così a non reagire meccanicamente. Può scegliere.
Jhon accetta di poter sbagliare e di essere imperfetto.
Jhon accetta l’imperfezione anche negli altri.
Jhon si arrabbia sempre meno frequentemente.
Jhon si ritrova sempre più spesso consapevole e nella condizione di poter scegliere se lasciarsi andare alla rabbia e viversi l’emozione o aprire la mano e farla scivolare via.
Jhon smette di rifiutare la rabbia come emozione.
D’un tratto Jhon realizza che è da un po’ che non ha più problemi di digestione.
Jhon incontra una persona che si arrabbia facilmente che gli chiede alcuni consigli.
Jhon capisce che è giunto il momento di restituire al mondo quanto ha imparato.
“La posizione è scomoda, la posizione è faticosa, la posizione…”
Oppure la mente.
“La mente è irrequieta, non si calma, continua a produrre pensieri, non si riesce a concentrarsi, ho sonno…”
Oppure l’istruttore.
“Oggi non si capisce nulla di quello che dice, parla troppo piano, parla troppo veloce, propone cose assurde, quello che propone non riesco a farlo…”
C’è sempre qualcosa a cui addossare la colpa del nostro fastidio, del nostro attrito…
…e guarda caso non siamo mai noi il motivo per cui non ci sentiamo bene.
Lo Yoga invita a riflettere, ad ascoltarsi…
…e proprio nell’ascolto di noi stessi, nei momenti di gioia o di attrito, qualcosa emerge.
Occorre chiedersi:” Perché provo attrito?”
“Cosa vuole comunicarmi questo attrito? Perché sono a disagio? Quale parte di me è a disagio?”
“Quando sono a disagio, fisico o mentale, di cosa ho paura?”
“Quale parte di me non accetto?”
La paura fa parte di noi.
Le nostre emozioni sono parte integrante di noi stessi.
Yoga vuol dire Unione.
Yoga quindi è unione anche con le proprie emozioni
Se partiamo dall’assunto che le emozioni si dividano in positive e negative già creiamo divisione.
E da questa divisione nasce la convinzione che alcune emozioni non vadano vissute, non vadano provate, ma sconfitte, allontanate, placate, ignorate ecc…
Così la rabbia viene soffocata, la tristezza ignorata, la paura soppressa, la sofferenza evitata…
Ma davvero siamo chiamati a fuggire la sofferenza? a vincere la paura?
Se sono parti di noi non è allora come dire:”fuggire dal proprio braccio, vincere la propria gamba…”?
Chiediamoci allora:”Quale parte di me non accetto? Perché?”
Questa è ricerca.
E’ un primo passo verso la conoscenza di noi stessi.