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Faccio Yoga perché…

  • di

“Lo yoga non fa per me”

“Non riesco a fare queste posizioni”

“E’ troppo difficile”

“Io mi stufo”

“Non capisco il senso”

“Perché fare esercizi di respirazione? Io voglio fare yoga”

“Non riesco a stare a gambe incrociate”

“Ho male, sono scomodo. Non ci sono posizioni più semplici?”

Non è difficile rispondere a queste domande, basta osservare il condizionamento mentale che abbiamo assorbito crescendo.

La nostra società:
  • segue una logica di scopo – tutto quello che facciamo deve avere uno scopo e un obiettivo. Se non è chiaro l’obiettivo perdiamo motivazione nel fare qualsiasi cosa.pagella
  • segue una logica di valutazione/risultato – fin dalla scuola siamo abituati ad applicarci in un campo di apprendimento e ricevere valutazioni, voti, a superare esami ed affrontare colloqui… Ci è stato detto “che bravo che sei” ogni volta che abbiamo conquistato un risultato di qualche tipo, un bel voto in una verifica o il premio in qualche gara. Viceversa abbiamo visto il volto dei nostri genitori scontento di noi ogni volta che alle udienze emergeva una qualche nostra difficoltà scolastica. Siamo talmente abituati a questa logica che costantemente e meccanicamente la nostra mente giudica e valuta il nostro livello di conoscenza o le nostre abilità fisiche e la nostra apparenza e costantemente valuta o giudica pure quelle degli altri. Viviamo nell’autogiudizio e nel giudizio altrui 24/7.
  • segue una logica di produttività – ciò che facciamo deve portare ad un progresso visibile, a miglioramenti concreti, direttamente misurabili e valutabili.
  • segue una logica di immediatezza dei risultati – non siamo più abituati a persistere nei progetti a lungo termine, desideriamo vedere dei risultati immediati. Se il risultato non è istantaneo (o quasi) la motivazione al sacrificio volontario per l’ottenimento di uno scopo viene meno.
  • segue la logica del tempo – tutto è in funzione del tempo. La mente proietta nel futuro le proprie aspettative e i propri progetti, il passato è invece acquisizione di contenuti, di storia, di identità. Viviamo con la mente nel futuro e con la convinzione di essere la nostra storia passata, fatta di conquiste, diplomi, certificati, esperienze. Viviamo relativamente poco nel presente (viviamo poco IL Presente) con la mente che posticipa nel futuro la felicità. “Sarò felice quando… sarò contento quando… potrò riposarmi quando… sarò contento di me stesso quando… sarò soddisfatto quando…” così che la vita “vera“, identificata con la felicità, sembra risiedere sempre nel futuro e mai nell’adesso. Un esempio tra tanti: anche durante una corsa o un giro in bici “sopportiamo” la fatica del correre perché in realtà ci stiamo “allenando” diventando sempre più tonici e in forma, il beneficio è nel futuro. Pochi vivono la corsa “durante” godendo dei propri passi, del proprio respiro e del proprio sudore, molti cercano invece di evadere, di sopportare l’allenamento perché “dopo” starò bene, “dopo aver fatto la doccia starò benissimo ma mi tocca sopportare la corsa” ecco cosa ci diciamo spesso. E così il proliferare di lettori mp3 che aiutano a distaccare la mente dal momento Presente, perché così almeno non si pensa alla corsa, si pensa ad altro altrimenti subentra la noia o la fatica e ci si limita a gustare solo la sensazione del “dopo” la corsa. Vivere la vita in quest’ottica, posticipando sempre il gusto del vivere, è solo una lotta stremante che ci vede intenti a perseguire il sogno di una felicità piena degna delle più mirabili pellicole cinematografiche che però mai giunge.
  • segue la logica della fuga dalla sofferenza e dell’appagamento emotivo – tutto ciò che ci causa sofferenza, fastidio, attrito, insofferenza, tensione… viene identificato in una causa esterna da eliminare o da evitare. Tutto ciò che ci porta lontano dal nostro sogno di felicità irreale diventa ostacolo. Una relazione difficile che causa sofferenza viene spesso troncata, l’assistenza ad un malato viene vissuta come obbligo che ci costringe dove non vogliamo stare. Desideriamo un appagamento emotivo istantaneo che possa placare, anche se per poco o in modo non pieno, la nostra sensazione di incompletezza.

Se un bambino avesse già assorbito prima ancora di nascere questo modo di pensare non imparerebbe mai a camminare.

Dopo la ventesima volta che cadrebbe a terra, tentando in modo rovinoso la posizione eretta, abbandonerebbe sconfitto il suo progetto. La sua incertezza, la difficoltà fisica incontrata, il dolore delle ripetute cadute, i numerosi tentativi falliti, il percorso estremamente lungo e privo di garanzie, l’appagamento emotivo nullo, la grande frustrazione del sentirsi incapace sarebbero elementi che congelerebbero qualsiasi suo slancio di apprendere qualcosa di nuovo.

Mano a mano che cresciamo la paura di non farcela e la difficoltà di vivere la frustrazione di una sconfitta diventano elementi sempre più radicati in noi che ci paralizzano completamente.

Perché abbiamo più paura?

L’Ego diventa sempre più forte?

Abbiamo lentamente e gradualmente identificato “chi siamo” con ciò che “riusciamo a fare” (e quindi anche con ciò che siamo riusciti a fare).

Con questo meccanismo è logico che il non riuscire in qualcosa infligge un colpo durissimo alla nostra identità e per questo lentamente evolviamo il meccanismo di difesa di sottrarci alle sfide, ai momenti in cui ci sentiamo principianti incapaci o poco abili. Non a caso più accumuliamo anni sulle spalle più diventa difficile aprirsi al nuovo, che sia un nuovo lavoro, lo studio di una disciplina o un nuovo sport o passatempo.

Anche chi sembra nella società un “vincitore” bravo in tutto sta in realtà rafforzando il proprio Ego identificandosi nelle sue vittorie e creando un preambolo di una sofferenza ancora più grande davanti ad un’ipotetica (ed inevitabile) sconfitta.

Una persona che si iscrive ad un corso di tango non può pretendere di conoscere i passi e saper già danzare, tuttavia spesso accade che inconsciamente ci si convinca di essere geni incompresi del tango, di aver già il senso del ritmo e dell’estetica del movimento nelle proprie vene, e che con poche lezioni sboccerà il vero maestro del tango che già vive in noi. Se questo non accade allora…evidentemente il tango non fa al caso nostro.

Approcciare lo Yoga cercando di far sbocciare il maestro che già vive in noi per l’ennesima identificazione Egoica è una delle strategie più gettonate.

Le altre strategie implicano sovente quello che uno pensa di ottenere con lo yoga.

  • Faccio yoga perché mi aiuterà a restare calmo.
  • Faccio yoga perché mi aiuterà con la sciatica.
  • Faccio yoga perché mi guarirà dal mal di schiena.
  • Faccio yoga perché mi aiuterà con la gastrite.
  • Faccio yoga perché sono agitato e devo imparare a star calmo
  • Faccio yoga perché porta benessere
  • Faccio yoga perché altrimenti rischio di fare a pugni col mio capo
  • Faccio yoga perché….

Tutti questi “Faccio yoga perché” implicano a rigor di logica di sapere già:

  1. Cos’è lo Yoga
  2. Che ci siano dei benefici e che siano esattamente quelli che ci prefiguriamo
  3. Come reagirà il nostro corpo-mente con la Pratica Yoga

Se crediamo di sapere già cosa sia o non sia lo Yoga e quali benefici ci porterà allora inevitabilmente ci scontreremo con un muro. Criticheremo l’insegnante quando ci proporrà qualche tecnica di meditazione perché noi volevamo fare

“yoga – come ci immaginiamo che sia”

e invece abbiamo fatto una seduta di

“yoga – come in realtà ci è stato proposto e che è stato diverso da quello immaginato”

e non saremo contenti.

Magari ci sono state proposte delle posizioni in cui ci siamo sentiti dei goffi principianti ed è emersa una gran rabbia, o abbiamo pensato al lavoro tutto il tempo e finita la sessione di yoga ci ritroviamo frustrati perché non siamo riusciti a concentrarci, o ci troveremo in lacrime perché sono uscite delle emozioni che avevamo soffocato abilmente dentro i nostri cuori e non saremo contenti, perché non ce lo aspettavamo.

Ciò che mi ha meravigliato di questa disciplina è che tutto quello che credevo dello yoga è stato smantellato lasciando solo uno spazio vuoto. Ogni volta che credevo di aver capito cosa fosse lo yoga mi scontravo sempre con un muro e dovevo rimettere in discussione tutto. Alla fine, stanco di esigere una risposta e mai trovarla, risposta che fungesse poi anche come scopo e motivazione del mio “fare” yoga, ho lasciato andare il bisogno stesso di una risposta e scopo immediati, di risultati ed appagamenti emotivi, perché forse è proprio l’approccio occidentale sbagliato che come una chiave non è capace di aprire la serratura che non conosce. In quel momento mi sono sentito davvero  un principiante che si abbandonava forse per la prima volta alla Pratica dello Yoga.

faccio yoga perchéBenediciamo quindi i momenti in cui ci sentiamo principianti, in cui abbiamo difficoltà a fare una posizione perché stare nell’attrito permette di smantellare lentamente l’identificazione dell’Ego con le nostre vittorie/sconfitte e tutta la logica e i condizionamenti assunti in numerosi anni di indottrinamento. Stare in quest’attrito permette di rimettere in discussione ciò che crediamo di essere, permette di chiedersi “chi siamo” in un senso più profondo del termine e se il nostro valore dipenda davvero da “ciò che riusciamo a fare” permettendoci forse un clik interiore verso una maggiore libertà sganciandoci da schemi mentali che causano solo dolore.

Benediciamo i momenti in cui senza aspettative permettiamo al nuovo di sorprenderci. Ci auguriamo di mantenere viva sempre la curiosità di vivere ogni istante con tutto quello che si porta appresso, la curiosità di osservarci vivere, anche di fronte alle avversità, la curiosità di vedere come ci comporteremo, non dando la nostra reazione per scontata e senza l’illusione di saper già come sarà il finale del film ma gustando appieno ogni minuto di “pellicola”. Ci auguriamo anche di mantenere viva la capacità di farsi due sane risate della nostra goffaggine, perché è tanta e facciamo davvero ridere.

Siamo convinti dentro di noi che non vada bene questo o che invece vada bene quello, ma torniamo di nuovo nel giudizio. Ve ne rendete conto? Ogni volta che pensiamo che questo va bene e questo va male siamo di nuovo nel giudizio. Proviamo invece a rompere questi schemi e dirci che va bene sentirsi goffi, va bene sentirsi incapaci, va bene anche essere arrabbiati o annoiati. Osserviamo quello che accade in noi senza giudizio, senza darci sempre e per forza la pagella. Osserviamoci durante la sessione Yoga e proviamo, se siamo curiosi, a portare questo meccanismo fuori, nella vita di tutti i giorni per vedere cosa accade.

E se comunque non riusciremo a sostenere una lezione o un corso yoga, va bene comunque.

Accettiamoci così come siamo che siamo perfetti esattamente così come siamo.

Nessuno vi darà un 5 in pagella, nessuno chiamerà i vostri genitori ad udienza, nessuno vi dirà quel che è meglio fare per voi. Per una volta nella vita siate liberi dal giudicarvi sempre e costantemente, non dovete nascondere la frustrazione per aver percepito questo o quello come sconfitta perché non è una sconfitta.

Forse non esistono nemmeno le sconfitte. Esistono solo nelle nostre menti.

Dove sta scritto che dovete fare per forza un corso yoga? Chiedetevelo onestamente, magari cambiate idea…

 

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