Giochi di Presenza – Quinta Sessione

Giochi di Presenza – Quinta Sessione

pratica

 

 

 

 

 

Nei seguenti audio vengono spiegate le Pratiche nel dettaglio

 

 

“Quando la vostra attenzione si muove verso l’Adesso, vi è uno stato di vigilanza. È come se vi foste risvegliati da un sogno, il sogno del pensiero, il sogno del passato e del futuro. Così chiaro, così semplice. Non vi è spazio per creare problemi. Solamente questo momento. Così come è.”

Eckhart Tolle

 

 

 

 

 

“Essere consapevoli del respiro sposta l’attenzione dai pensieri e crea spazio. È un modo di generare consapevolezza.”

E.T.

 

“Essere consapevoli del respiro sposta l’attenzione dai pensieri e crea spazio. È un modo di generare consapevolezza. Sebbene la pienezza della coscienza esista già in forma non manifestata, siamo qui per portare la coscienza in questa dimensione. Siate consapevoli del respiro. Fate attenzione alla sensazione del respiro. Sentite l’aria che entra ed esce dal corpo. Osservate come il petto e l’addome si espandono e si contraggono leggermente con l’inspirazione e l’espirazione. Un respiro consapevole è sufficiente a creare spazio li dove prima c’era un interrotta successione di un pensiero dopo l’altro. Un respiro consapevole, due o tre sarebbe ancora meglio, molte volte al giorno, è un modo eccellente per portare spazio nella vostra vita. Anche se meditate sul respiro per due ore o più, cosa che alcuni hanno fatto, un solo respiro è tutto ciò di cui avete bisogno per essere consapevoli o meglio, tutto ciò di cui potete essere consapevoli. Il resto è memoria o anticipazione, cioè pensiero. Il respirare non è in realtà qualcosa che si fa, ma qualcosa che si può osservare mentre accade. Il respirare accade da solo. È l’intelligenza interna del corpo che lo fa. Tutto quello che dovete fare è osservarlo mentre accade. Non implica alcuno sforzo o tensione. Fate attenzione, inoltre, alla breve pausa nel respiro, in particolare al punto di quiete alla fine dell’espirazione, prima dell’inizio di una nuova inspirazione. In molte persone il respiro è innaturalmente superficiale. Quanto più sarete consapevoli del respiro, tanto più questo ritroverà la sua naturale profondità. Poiché il respiro in se non ha forma, è stato fin dall’antichità considerato uguale allo spirito: l’unica Vita senza forma. “Allora il Signore Dio modello l’uomo con la polvere del terreno e soffio nelle sue narici un alito di vita; così l’uomo divenne un essere vivente”. La parole respiro in tedesco, Atmen, deriva dall’antica parola indiana (sanscrita) Atman, il cui significato è lo spirito divino innato o Dio dentro di noi. Il fatto che il respiro non abbia forma è una delle ragioni per cui la consapevolezza del respiro è un modo straordinariamente efficace di portare spazio nella vostra vita, di generare consapevolezza. È un eccellente oggetto di meditazione proprio perché non è un oggetto, non ha struttura né forma. L’altro motivo è che il respiro è uno dei fenomeni più sottili e apparentemente più insignificanti. “la cosa più piccola” che, secondo Nietzsche, crea “la più grande felicità”. Praticare o meno la consapevolezza del respiro come forma di meditazione vera e propria è una vostra scelta. La meditazione praticata regolarmente, comunque, non è un sostituto del portare la coscienza dello spazio nella vita di ogni giorno. Essere consapevoli del vostro respiro vi costringe a stare nel momento presente, che è la chiave di tutte le trasformazioni interiori. Ogni volta che siete consapevoli del respiro, siete assolutamente presenti. Potete anche rendervi conto che non potete pensare e, allo stesso tempo, essere consapevoli del vostro respiro. Il respiro cosciente ferma la mente. Ma lungi dall’essere in trance o mezzo addormentati, siete completamente svegli e totalmente vigili. Non state cadendo al di sotto del pensiero, ma vi state elevando sopra di esso. E se guardate più attentamente troverete che queste due cose, arrivare pienamente nel presente e smettere di pensare senza perdere consapevolezza, sono in realtà una sola e unica cosa, il sorgere della coscienza nello spazio.”

da “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle 

 

 

 

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Tipologie di Yoga e le vie dello Yoga – Yoga Marga

Tipologie di Yoga

Quando si parla di Yoga si parla di un mondo davvero grande.

Chi si avvicina è spesso confuso dalle diverse tipologie di Yoga che si possono trovare e soprattutto dal loro numero. Addirittura qualcuno è arrivato a fare una mappa per guidare gli inesperti a scegliere il corso più adatto a loro.

mappa yoga

Ginnastica Yoga – Yogya

Ciò che di solito l’utente medio conosce dello yoga è solo la parte più commerciale che a far bene dovremmo chiamare con un altro nome per non confondersi. Potrebbe interessare che secondo alcuni molte delle tipologie di Yoga moderne sarebbero riconducibili ad un’altra disciplina, chiamata dagli indiani Vyayama Vidia (sanscrito व्यायाम  विद्या  –  vyāyāma vidyāYogya (sanscrito योग्य yogya) che ha a che fare più con la ginnastica che non con lo Yoga.

Lo Yoga, così come ci è pervenuto dai Veda, dalle Upanishad, dai Purana e dai poemi epici indiani (Mahabaratha e Ramayana) è una disciplina che ha il fine di svelare al praticante la sua identità con l’Universo (Jagat) e con l’Essere Supremo (Parabrahman) attraverso una serie di processi di trasmutazione realizzati spesso grazie a stati estatici ricondotti sotto il nome di Samadhi.

C’è chi fa una sintesi di tutto questo e sostiene che lo Yoga è la Pratica del Samadhi, inteso come esperienza che trasforma mente, parola e corpo, e di conseguenza la realtà percepita fino a ciò che è definito Moksha, che si potrebbe tradurre con  Realizzazione, Illuminazione o “Liberazione dalla Catena delle Rinascite”, sebbene limitare lo Yoga al Samadhi possa sembrare per altri estremamente riduttivo.

In ogni caso ricordiamolo: lo Yoga NON E’ una ginnastica ma una via di crescita spirituale che conduce alla liberazione in vita, ossia alla realizzazione del principio immanente e divino che sta oltre la realtà percepibile dei sensi.

Verso l’Ego o verso il Sè?

ego Anche Scuole di formazione Insegnanti Yoga come Yoga Planet, che organizza corsi di livello in tutta Italia, non hanno remore a definirsi scettici sull’evoluzione del mondo Yoga e come lo Yoga è diventato ai giorni nostri constatando quanto sia la distanza che si accumula ogni giorno da come lo Yoga sarebbe da intendersi.

Ci si permette quindi di dubitare di molte delle “vie” della mappa presentata sopra, sebbene più che sul “cosa” si dubiti è sul “come”. Infatti lo Yoga moderno e le sue tipologie di Yoga può condurre il praticante alla liberazione, ma dipende ovviamente da come viene insegnato e praticato. E’ un dato di fatto invece che la deriva della nostra contemporaneità sta rendendo lo Yoga sempre più un fenomeno mediatico in cui si coltiva l’Ego, per renderlo più bello, sano e forte, per aumentare i follower su instagram o il proprio sex appael, piuttosto che un cammino di accettazione e consapevolezza che va nella direzione opposta, allontanandosi quindi dall’identificazione egoica (ossia da ciò che crediamo di essere e che non siamo).

Lo Yoga delle Origini

E’ fuorviante anche credere che lo Yoga delle Origini non fosse contaminato dall’Ego umano, come è fuorviante credere che, a chi pratica con Ego ciò che sembra essere Yoga solo in apparenza, gli sia preclusa in questa vita una più profonda realizzazione o un salto coscienziale. In passato c’è sempre stato chi si è avvicinato allo Yoga per ottenere più potere, fama, successo.

Molti erano i praticanti che ammaliati dal mito delle Siddhi (poteri Yogici sovrannaturali, ben descritti negli Yoga Sutra) si dedicavano anima e corpo per acquisire capacità straordinarie e risolvere con queste una situazione di vita particolarmente dura, sfortunata o infelice.

Alcuni santi cominciarono proprio un cammino di questo tipo cercando ad esempio dei poteri per vendicarsi di alcuni torti subìti per poi, dopo aver visto realizzarsi il loro desiderio, accorgersi del male compiuto e convertirsi ad una Via di ben più ampia veduta e saggezza (vedi vita di Milarepa).

Nei testi antichi (Upanishad, YogaSutra…) le promesse fatte dalle sacre scritture vediche a chi con zelo osservava i sacrifici e le pratiche descritte ricompensavano spesso con gioie e conquiste non solo spirituali ma anche terrene che potevano ammaliare le rozze popolazioni che cercavano una svolta nelle loro vite condotte spesso senza morale.

Tuttavia la parte più nascosta e vera dell’insegnamento, detta Esoterica, rimane, seppur celata, viva nella trasmissione che giunge fino ai nostri giorni e tutt’oggi è capace di dispensare nettare di pura saggezza a chi è disposto ad un ascolto sincero e far spazio per ricevere.

Yoga Marga: differenti approcci al cammino spirituale Yogico

Quando si parla di Yoga Marga si intendono i Marga classici, ossia i differenti approcci allo Yoga come cammino di liberazione, e NON SONO le tipologie di Yoga comunemente intese come differenti “corsi” yoga bensì approcci profondi e filosofici al cammino della liberazione e sono:

  • Hatha Yoga
  • Raja Yoga
  • Bhakti Yoga
  • Janana Yoga
  • Karma Yoga

Per poter meglio comprendere questi approcci occorre conoscere gli assunti iniziali del pensiero filosofico indiano da cui originano le differenti vie.

  • L’uomo è incompiuto
  • La sua coscienza è in conflitto
  • Si chiede spesso: quando potrò essere felice? Come trovare la pace, la serenità, la gioia?
  • Qual è quella serenità che può dare compiutezza?
  • Quali possono essere i mezzi operativi per realizzarla?
  • La felicità è un effetto? Faccio qualcosa e sono felice? Ottengo qualcosa e poi sono felice?

avidya

Questa ricerca della felicità se fatta attraverso le cose materiali, sensoriali, emotive non conduce ad una felicità stabile e duratura bensì ad un godimento temporaneo e si è soggetti al suo “flusso/riflusso” alternando stati di godimento a stati di sofferenza/dolore. E’ l’ignoranza (Avidya) che ci porta ad spendere energie cercando la felicità dove in realtà non è possibile trovarla. Occorre pertanto dirigerci dove possiamo trovare pace duratura, ossia rivolgerci all’Assoluto.

E’ quindi nella conoscenza dell’assoluto, di ciò che è reale e costante, che possiamo riporre la nostra fiducia e dirigere il nostro intento e sforzi per conquistare lo stato di essere liberato, ossia che si libera dalla sofferenza (ma anche dall’Ego, dalla persona, da ciò che è irreale, non assoluto, non costante, perituro).

Per Praticare lo Yoga come Scienza Spirituale occorre:

  • Sete di liberazione
  • Aspirazione alla nostra controparte Divina
  • Avere quell’Eros (sete/brama intelligibile) di cui parla Platone
  • Libertà da pregiudizi e fanatismo dogmatico
  • Qualificazione coscienziale-psicologica
  • Conoscenza della visione filosofica dello Yoga
  • Vocazione per l’uno e l’altro tipo di Yoga
  • Perseguimento dell’etica Yogica nel quotidiano (Yama-Nyama)

(cit. Essenza e Scopo dello Yoga, Raphael)

Raja Yoga:

raja yoga

detto lo Yoga regale più comunemente si riferisce allo Yoga-Darsana (Filosofia Yoga) cosi come esposto concisamente negli Yoga Sutra di Patanjali, per questo detto anche Yoga-Classico. Il Raja Yoga è conosciuto anche con il nome di Asthanga Yoga o yoga delle otto membra sebbene sia diverso da ciò che oggi commercialmente viene commercializzato come Ashtanga Yoga, che è una Pratica fisica non descritta negli Yoga Sutra ma inventata da Patthabi Jois. Il percorso di maturazione yogica proposto invece da Patanjali è molto complesso e vasto sebbene sia dai più semplificato e sintetizzato dalle seguenti otto pratiche: rispetto morale (Yama), autodisciplina (Niyama), Posizioni (Asana), Controllo del respiro (Pranayama), ritrazione dei sensi (Pratyahara), concentrazione (Dharana), meditazione (Dhyana), e enstasi “Liberazione” (Samadhi).

Per approfondimenti sul Raja Yoga si invita alla lettura dell’articolo nella sezione Yoga Sutra o la visione del video

Jnana Yoga:

Lo Jñāna-yoga rientra nella scuola di pensiero del Vedānta. Si basa su questi principi:

  • VIVEKA (‘discernimento’ metafisico tra il reale e l’irreale, l’eterno e il finito, la personalità umana e il Sé sovrapersonale);
  • VAIRAGYA (‘rinuncia’ a tutti gli oggetti terreni e paradisiaci);
  • TAPAS (le pratiche ascetiche o ascesi costituita dai ‘sei tesori’ – shad sampat:
  1. sama ovvero il controllo dei pensieri;
  2. dama ovvero il controllo degli organi sensoriali
  3. uparati ovvero la rinuncia alle attività che non facciano parte dei doveri, del Dharma;
  4. titiksha ovvero la fermezza interiore rispetto alle avversità e agli opposti piacere-dolore;
  5. sraddha ovvero la fede rispetto all’insegnamento;
  6. samadhana, cioè la concentrazione perfetta;
  7. MUMUKSUTVA (l’intenso desiderio di emancipazione).

Il Jnana Yoga è il sentiero della conoscenza, mira a conoscere Dio, l’Assoluto, cercando di rimuovere l’ignoranza, l’illusione, la verità parziale. La causa del Samsara (ciclo delle nascite e delle morti) e della sofferenza come già detto è per la filosofia indiana da identificarsi con l’ignoranza (Avidya); essa agisce come un velo (Maya), che impedisce all’Essere di percepire la sua vera natura. Il percorso del Jnani consiste nell’abbattere questo velo d’ignoranza, principalmente per mezzo di una costante indagine ed esercizio di discriminazione di ciò che è reale da ciò che non lo è, ossia il non Essere dall’Essere.

Grazie alla meditazione costante e alla conoscenza di aspetti filosofici, egli comprende la sostanziale unità dell’Atman “essere individuale” con il Brahman “Dio o essere universale”, e realizza perciò di essere tutt’uno con l’Assoluto. Questo cammino però non deve essere inteso solo come un sapere intellettuale ma si tratta di comprendere quanto enunciato attraverso l’esperienza diretta.

Il Jnana Yoga è identificabile quindi con la strada del discernimento immediato. E’ una strada fatta di silenzi, intuizioni, illuminazioni, visioni, distacco, spassionatezza, che penetra i misteri ultimi della realtà e opera con le Idee e princìpi ideali sintetici archetipali. E’ una via di solitudine e astrazioni che ha alcune caratteristiche:

  • Interiorizzazione attiva,
  • capacità di deduzione,
  • grande e immensa sete di verità spirituali,
  • costante atteggiamento meditativo-contemplativo quotidiano.

E’ la via del filosofo intuitivo-contemplativo, del metafisico, non del teologo/intellettuale.

Man mano che il discepolo rimuove ciò che non è, vive e incarna ciò che è. Lo Jnani cerca di svelare la Verità ed essere la Verità.

Jnana è anche studio.

Studio dei testi sacri ma non solo intellettualmente. E’ anche e soprattutto, alla luce di quanto esposto, comprenderli col cuore e farli propri. Viverli poi ogni giorno. Rendere vivi gli insegnamenti, incarnandoli.

Si rifà ai testi vedantici e alle Upanisad, all’Advaita Vedanta.

I tre mezzi di cui si avvale principalmente lo Jnani:

  1. Ascolto
  2. Riflessione
  3. Meditazione

Grandi Jnani sono ad esempio Ramana Maharshi, M. Nisargadatta, Mooji, Papaji…

Hatha Yoga:

hatha yoga pradipika
Hatha yoga pradipika

Le origini dell’Hatha yoga risalgono alla stesura dei primi Tantra – i testi classici del pensiero induista in cui vengono annoverate le pratiche e le regole di condotta per arrivare alla liberazione – ma la sua sistematizzazione vera e propria, secondo alcune scuole, si deve al mistico Gorakhnath, vissuto tra l’XI e il XII secolo, discepolo di Matsyendranath, che si dice fondatore di uno yoga incentrato principalmente su pratiche psico-fisiche.

Più che una dottrina filosofica è quindi un metodo pratico, disciplina psicofisica basata principalmente su asana e pranayama. Il potere di «immobilità» fisica nell’Hatha Yoga è importante quanto l’immobilità delle Vritti nel Raja Yoga. Consiste nell’assorbire più prana, imparare a non disperderlo e usarlo nel modo migliore.

Nei suoi testi si teorizza che attraverso la rigida disciplina – sadhana – volta al dominio del corpo e al controllo della mente, può essere stimolata la fusione tra il sé individuale e il sé universale, meta ultima dello Hatha yoga.

Prima di tutto sostituisce al precedente concetto upanisadico del corpo come centro di sofferenze, con una visione più positiva nei confronti della vita fisica, considerando cioè il corpo come uno strumento di grande, grandissimo valore nella via di emancipazione della persona.

Secondariamente integra in sé gli aspetti psicofisici con la dimensione spirituale.

In ultimo, con la sua grande attenzione data al corpo, ha sviluppato una profonda ed elaborata anatomia sottile, nella quale hanno sede il già ricordato prāṇa (forza vitale), i chakra (i diversi punti focali della forza vitale nel corpo sottile) e l’energia del serpente (kuṇḍalinī-śakti).

Hatha, letteralmente significa sforzo violento, ma il suo significato è più complesso. La parola è composta da ha (sole) e tha (luna), anche riferendosi al passaggio dell’aria nella narice destra (assimilata al sole) e nella narice sinistra (assimilata alla luna). Quindi lo Hatha Yoga vuole rappresentare l’insieme dei due respiri. Possiamo vedere nei due astri – il sole e la luna –  il maschile e il femminile, le energie Siva e Shakti, il caldo e il freddo, il giorno e la notte, il cuore e la ragione, la testa e la “pancia”…Energie che tramite la pratica vengono unificate.

I testi dello Hatha Yoga:

L’Hatha Yoga Pradipika fu scritto all’incirca nel quindicesimo secolo dopo Cristo, da Svātmārāma, del quale sappiamo poco più che il nome. L’Hatha Yoga Pradipika è un manuale di pratica, un testo empirico ed operativo che fornisce indicazioni su come svolgere le diverse tipologie di esercizi.

Si compone di quattro libri.

Il primo libro espone il lignaggio, le raccomandazioni per il luogo della pratica, le posture del corpo (asana) e alcune norme alimentari.

Il secondo libro descrive gli esercizi di controllo dell’energia e del respiro (pranayama) e le pratiche di purificazione interna (shatkarmas).

Il terzo tratta l’energia kundalini, i canali di energia (nadi), l’incanalamento dell’energia attraverso di essi (mudra) e l’incanalamento attraverso particolari chiusure del corpo (bandha).

Il quarto ed ultimo libro espone il ritiro dei sensi (pratyahara), la concentrazione (dharana), la meditazione  (dhyana) e il samadhi

Assieme alla Geranda Samhita e alla Shiva Samhita, l’Hatha Yoga Pradipika è considerato una delle tre perle del tantra.

Karma Yoga: 

bhagavad gita

Di tutti gli esseri che vivono in natura, solo l’uomo lavora per un compenso, solo l’uomo vuole trarre vantaggio e beneficio dalle azioni svolte, agisce per motivi egoistici e deve avere un tornaconto, se cosi non è tutti gli sforzi sono vani e la sofferenza inizia e fino a quando non otteniamo un merito o vantaggio quel pensiero non ci abbandona nemmeno nel sonno.

Ma dove siamo noi nel nostro corpo? E’ possibile dire “siamo qui” piuttosto che “lì”?

Chi siamo noi?

Se crediamo di essere il corpo, le nostre azioni si colorano di Egoismo e questo ottenebra la mente. Occorre quindi agire non più per sé stessi bensì con la consapevolezza che noi non siamo questo corpo.

Il Karma Yoga è il sentiero “dell’agire senza agire” o del distacco dai frutti dell’azione. Ciò implica determinarsi con un atto di pura azione senza attaccamento. L’individuo comune agisce mosso dal desiderio di avere, il discepolo di questo sentiero agisce senza desiderio di ricevere. E’ lo Yoga dell’azione (karma) insegnato dalla Bhagavadgita.

1. “O Janardana, se Tu consideri la conoscenza superiore all’azione, allora perché – o Keshava vuoi che m’impegni in questa terribile azione?

2. “Con queste parole apparentemente contraddittorie Tu stai, per così dire, confondendo il mio intelletto. Ti prego, fammi conoscere con certezza l’unica cosa mediante la quale potrò raggiungere il bene supremo”. Il Signore Cosmico disse:

3. “O Senza Peccato, all’inizio della creazione Io diedi al mondo la duplice via della salvezza. Il sentiero dell’unione divina attraverso la saggezza Jnana-yoga), per i saggi (i seguaci del Sankhya); il sentiero dell’unione divina attraverso la meditazione attiva (karma-yoga), per gli yogi.

4. “Nessuno raggiunge lo stato dell’inazione evitando di compiere azioni. Nessuno raggiunge la perfezione rinunciando semplicemente all’azione.

5. “In verità nessuno può rimanere neppure un momento senza agire; perché invero tutti sono ineluttabilmente costretti all’azione dalle qualità (guna) nate dalla Natura (Prakriti).

6. “L’individuo che controlla con la forza gli organi dell’azione, ma la cui mente ruota intorno ai pensieri degli oggetti dei sensi, viene chiamato ipocrita, uno che inganna se stesso.

7. “Mentre l’uomo che disciplina i sensi con la mente, senza attaccamento, mantenendo saldamente i suoi organi d’azione sul sentiero del karma yoga, questi – o Arjuna – ha grande successo.

8. “Compi le azioni che costituiscono il tuo sacro dovere, perché l’azione è migliore dell’inattività. Anche il semplice mantenimento del corpo sarebbe impossibile senza attività.

9. “Le persone del mondo sono legate karmicamente da attività diverse da quelle fatte come yajna (riti religiosi). O Figlio di Kunti, agisci perciò senza attaccamento, nello spirito dello yajna, offrendo le azioni come oblazioni.

Cap 3 Bhagavadgita

Questo tipo di azione, è ovvio, non è mosso dalla sfera dell’individuale né diretto all’individuale. L’abilità del discepolo di questo tipo di yoga consiste nel far morire l’io empirico, con i suoi contenuti di possesso e di acquisizioni, e nell’innestarsi al Principio per fini universali. E’ lo yoga delle persone di azione, delle istanze dirette all’agire nei vari campi dell’attività umana. Il discepolo diviene così strumento del volere divino assecondando il processo del divenire, comprendendo i sui ritmi e le sue modalità operative.

L’azione del Karma yoga esige lo slancio salutare della completa dedizione, della fedeltà e della devozione alla volontà dell’Essere universale; nella lotta per l’ideale e la giusta causa il candidato effettua la rottura di livello dell’io con impeto di sacrificio e d’immolazione.

Il karma yoga è dunque un metodo etico e religioso il cui scopo è quello di farci raggiungere la libertà attraverso l’altruismo e le buone azioni. Il karma-yogi non ha bisogno di credere in Dio, può anche non domandarsi che cosa sia la sua anima, può anche non legarsi ad alcuna speculazione di ordine metafisico. Il suo scopo essenziale è quello di liberarsi dall’egoismo e di giungervi attraverso le sue stesse forze…

Così la sola soluzione consiste nel rinunciare ad ogni frutto dell’agire, ed essere da questo distaccati… Quando un uomo può far ciò egli sarà un Buddha e troverà in sè la forza di lavorare in modo tale da trasformare il mondo. Quest’uomo rappresenta l’ideale più elevato del Karma Yoga.

Il karma yoga è uno yoga quindi non personale, è in contatto con gli altri e con il mondo. E’ sullo spunto del karma yoga che cominciamo a trasformare la nostra vita in qualcosa di spirituale. Spesso ci ritroviamo a ritagliarci del tempo per praticare in una vita frenetica fatta di impegni, di lavoro, di relazioni… Ma perché non usiamo invece questo tempo, che è in realtà la stragrande maggioranza del tempo delle nostre vite, e lo rendiamo spirituale? Perché non usare la vita stessa, l’azione come strumento per arrivare a Dio, per rimanere in contatto con Dio?

Ci sono tre livelli di karma yoga come insegnanto da Swami Sarvapriyananda

  1. Distacco dai risultati delle nostre azioni.
  2. Abbandonare l’idea di ricercare questo o quello. L’azione avviene e la dobbiamo compiere affidandola a Dio.
  3. Realizzare che noi non siamo l’Agente, ma solo osservatori. Anche se sembra che siamo noi a fare questo o quello è in realtà la Prakriti che agisce, mentre noi dallo stato del Purusa siamo l’imperituro osservatore. Mantenere questa consapevolezza nella vita conduce ad un agire puro, dove scompare l’agente e siamo totalmente nel flusso di Dio e della vita. La vita scorre attraverso la Prakriti della nostra natura materiale mentre noi restiamo equanimi osservatori. L’azione stessa diventa quindi venerazione e adorazione del divino.

Vivekananda ci offre alcuni spunti su come possiamo lavorare come discepoli del karma yoga.

  • lavorare sul mantenere l’osservazione (il testimone). Assomiglia al Jnana Yoga. “Quando vedi l’azione nella non azione e la non azione nell’azione” vuol dire che non bisogna sottrarsi al mondo e ai nostri doveri per realizzare la non-azione bensì togliere l’Ego dalle nostre azioni. Non verranno quindi fatte per l’Ego (la persona), e se non c’è un “io” che compie l’azione scompare l’azione stessa che non produrrà più karma.
  • Offrire le azioni a Dio (che da un certo punto di vista assomiglia alla via Bhakti). Esternamente si possono fare le stesse cose di sempre ma non importa cosa si fa ma come lo si fa. Prima di ogni azione si può dire: “Dio ti offro questo agire” e rammentarsi un paio di volte durante l’azione e al suo termine concludere offrendo ancora tributo a Dio. Si vive come se tutto ciò che ci circonda fosse Dio. Quando si parla agli altri, ci si relaziona, lo si fa con la consapevolezza che ognuno è Dio e che Dio è in ogni cosa.
  • Prapatti – Arresa completa a Dio. Lasciare a Dio il timone della nostra nave, affidarsi completamente a lui. Non resistere agli eventi, qualunque essi siano, ma offrirli a Dio. “Dio sia fatta la tua volontà non la mia”.
  • Vivere gli eventi come se fosse un gioco divino. Tutto è un gioco di Dio, anche le sofferenze, il dolore…tutto è un gioco. Tutto può essere trasformato in una danza in cui noi assistiamo osservatori alla danza di Dio e della natura che si svolge davanti ai nostri occhi. Ciò permette di conseguire una mente equanime sia nella gioia sia nel dolore.

Bhakti Yoga: 

bhakti

Yoga della devozione, è la via dell’unione con Dio per mezzo di una devozione profonda ed è uno dei rami principali della tradizione yoga dell’Induismo essendo la strada più percorsa. Secondo il Bhagavata-Purana ci sono molti sentieri di Bhakti Yoga a seconda delle diverse predisposizioni del praticante. Tra i vari cammini “marga” questo è detto essere il più diretto è semplice, non richiede grandi capacità intellettive o attitudini particolari. Il Bhakti Yoga è intenso amore per Dio: amore trascendentale.

Il principio del Bhakti Yoga è l’utilizzazione degli abituali legami della vita, caratterizzati dal gioco delle emozioni, per “impossessarsi” dell’Amato. La meditazione e gli stessi atti rituali non servono ad altro che ad aumentare l’intensità del contatto divino.

La parola bhakti deriva dalla radice bhj che significa “rendere onore”, “culto”, “servizio”, quindi porsi al servizio della Divinità con totale dedizione e abnegazione. Il discepolo che sperimenta questo approccio al Divino espande sempre più il suo sentimento fino a sentire realmente la Divinità in sè. E’ la strada di coloro che sentono l’amore per Dio così intensamente da voltare le spalle a qualunque allettamento del mondo. Per amore del Padre i devoti sanno amare tutto ciò che il padre ama: “Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.

Questo passaggio ricorda molto uno degli atteggiamenti bhakti consigliati anche per chi segue la via del Karma.

Nel Bhagavata Purana, III, 25,33  a cura di Sri Bilvamangala Thakura si legge un verso molto importante per capire l’attitudine Bhakti:

VERSO 33

jarayaty asu ya kosam

nigirnam analo yatha

 TRADUZIONE

La bhakti, o servizio di devozione, ha in sé il potere di sciogliere il corpo sottile dell’essere individuale, come il fuoco presente nello stomaco digerisce tutto ciò che mangiamo.

 SPIEGAZIONE

La bhakti è situata molto al di sopra della mukti, perché il servizio di devozione permette automaticamente all’uomo di liberarsi dalla prigione materiale.

Abbiamo qui l’esempio del fuoco che, nello stomaco, digerisce tutto ciò che mangiamo. Se il potere digestivo è sufficiente, tutti gli alimenti che ingeriamo saranno digeriti dal fuoco dello stomaco. Similmente, il devoto non ha bisogno di fare altri sforzi, separatamente dal servizio di devozione, per raggiungere la liberazione. Il servizio di devozione offerto al Signore Supremo rappresenta, in sé stesso, il metodo che lo porterà alla liberazione, perché impegnarsi nel servizio del Signore significa liberarsi dai legami materiali.

Sri Bilvamangala Thakura ha spiegato molto bene questa situazione dicendo: “Se ho una devozione incrollabile per i piedi di loto del Signore Supremo, la mukti, la liberazione, si mette a mia disposizione come un’umile servitrice, pronta a soddisfare tutti i miei desideri.”

Per un devoto la liberazione non rappresenta un problema, perché egli la ottiene automaticamente, senza sforzi separati. La bhakti, dunque, supera di gran lunga la mukti, il livello raggiunto dagli impersonalisti. Costoro praticano severe austerità e penitenze per raggiungere la mukti, mentre il devoto, semplicemente seguendo la via della bhakti, e in particolare cantando:

Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare

Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare

e rispettando i resti del cibo offerto al Signore Supremo, acquisisce subito il controllo della lingua. Se la lingua è controllata, anche tutti gli altri sensi saranno automaticamente sotto controllo. Il controllo dei sensi è la perfezione dello yoga, e l’essere trova la liberazione non appena s’impegna al servizio del Signore. Kapiladeva conferma dunque che la bhakti, il servizio di devozione, è gariyasi, più gloriosa della siddhi, la liberazione.

La Bahkti si divide in aparabhakti e parabhakti, vale a dire bhakti non suprema e suprema. La prima riguarda i piccoli misteri e opera sul piano della purificazione, dell’attivazione di qualità etiche, di armonizzazioni psicologiche, ecc. La parabhakti opera sul  piano della trasfigurazione di sé fino a raggiungere la “perfezione del Padre” e l’identità con Lui. Si può dire che la prima è exoterica mentre la seconda esoterica, la prima si esprime nel campo individuale, sia particolare che generale, la seconda in quello neoetico, universale o del Principio. La prima riguarda l’ascetica, la seconda la mistica pura.

Il termine bhakti, abbiamo visto, significa partecipazione, devozione, donazione; e la donazione-devozione avviene mediante l’amore (prema). La bhakti è dunque il dono di sé al Padre per amore. L’amore è l’opposto dell’egotismo, egotismo che ha determinato la scissura; il rifiuto dell’unità e l’aderenza al molteplice, al particolare e all’individuale hanno l’uomo a scindersi dal Tutto e costituirsi come parte, come singolo tra singoli, in contrapposizione al Principio.

Anche il bhakti yoga è un percorso in tappe. Le prime preparano alla morte dell’io tramite la purificazione da tutte quelle dissonanze che oscurano e velano la vibrazione dell’Amore-principio trasformandolo in ottava più bassa nell’amore di sé, in desiderio. La purificazione non comporta solo il potenziare qualità morali (soggettive, psicologiche) ma implica anche trasformare lo stato vibratorio dell’intera personalità. Dopo la purificazione ne segue una trasfigurazione che rende l’individualità tersa e innocente, luminosa. Questa fase implica profonda interiorizzazione, solitudine e silenzio mentale. Si tratta di saper accordare l’orecchio alla musicalità sottile, superfisica del Cristo interiore. Ciò è anche opera di invocazione, evocazione, precipitazione e stabilizzazione del suono universale nel proprio cuore. Ciò significa che i due centri del cuore e della mente (anahata e ajna) si stanno armonizzando, coordinando e integrando: la mente e il cuore si fondono, l’amore è compenetrato dalla sapienza e la sapienza dall’amore.

Successivamente può morire l’intero complesso egoistico-individuale.

“Nessuno è ricco di Dio se non è costantemente morto a sé stesso, spogliato di sé stesso in Dio” (Meister Eckart)

Questo vuol dire che l’essere percepisce che è solo vibrazione d’amore, non è né un’individualità con dei corpi né un ente particolare; è solo amore vibrante perché il Supremo è suono coesivo, armonico accordo tonale svelante onnicomprensione, è centro dell’universo, è la nota fondamentale risuonante nello spazio, è mantra osannante. Non è questione di vedere o uscir fuori di sé, ma di essere; non è questione di osservare la forma-effige-immagine dell’Amato, occorre essere vibrazione cristica d’amore.

Successivamente il devoto, spogliato di Sè stesso, sentirà Dio vivere in lui ed agire al suo posto. Questa fase rappresenta il rapimento dell’amante per l’amato, il realizzare le nozze celesti; la coscienza si porta sempre più alla fonte stessa dell’amore fino a un punto di fusione, di unione.

Consigli per il praticante 

Alla luce di quanto detto è bene dire che queste vie non sono antitetiche alternative l’una all’altra bensì possibilità di approcci alla stessa Via. Si intende che il Praticante potrà sentire sì più afflato verso un approccio piuttosto che un altro ma non è da intendersi preclusa l’opzione di avvicinarsi e simpatizzare per più di una via (marga). 

Senz’altro lo sperimentare diversi approcci aiuta a trovare il proprio ma permette anche più elasticità mentale. Quando si sceglie una via è importante dirlo non “si sposa” un approccio ad vitam, cerchiamo di non costruirci attraverso il marga scelto una prigione mentale che ci allontana ancor di più dalla libertà anziché avvicinarsi. Si consiglia di mantenere sempre la mente fluida, capace di adattarsi ai cambiamenti interni, agli spunti che arrivano dalla vita stessa e la freschezza di saper prendere il lavoro fatto, in qualsiasi istante della vita, gettarlo via per ricominciare.

Nulla viene mai perso, solo la nostra capacità di vedere l’Ego che tenta di nascondersi anche in queste strutture mentali.

 

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Shavasana e rilassamento profondo

shavasana

Shavasana e rilassamento profondo.

Posizione del morto.

Si può dire davvero molto su questa posizione.

Spesso è intesa come il momento di rilassamento finale.

Coperta, e si molla tutto.

Esistono diversi metodi per raggiungere uno stato di rilassamento profondo. Dallo Yoga Nidra con la rotazione della coscienza (percorso nel quale varie parti del corpo vengono nominate in successione e portate sullo schermo della coscienza, ossia vengono percepite), all’unione di alcune tecniche di pranayama con l’idea di rilassare il corpo o qualche sua parte…

Anche il Training Autogeno assomiglia molto allo yoga Nidra e da cui ha attinto se non le specifiche tecniche sicuramente i principi.

Vorrei farvi notare tuttavia alcune cose a riguardo che se non portate a livello conscio rischiano di diventare falsi miti e conoscenze errate.

 Se è vero che la mente si abitua in fretta è anche vero che dall’abitudine acquisita, specialmente in modo inconscio, ci si forma un’idea e dall’idea la regola o lo schema mentale.

Una volta che abbiamo uno schema mentale, ecco la gabbia.

E’ vero che per rilassarsi si consiglia di spegnere i cellulari, di trovare un ambiente caldo, confortevole, silenzioso, in leggera penombra, con l’aria pulita, senza insetti, senza impegni impellenti, senza bambini che chiamano o che giocano, ben coperti, su un materassino di una particolare gomma che isoli bene dal pavimento, con una mezz’oretta almeno a disposizione ed eseguire determinate tecniche…

…ma è anche vero che se dallo Yoga impariamo a rilassarci SOLO ed ESCLUSIVAMENTE se ci troviamo nelle situazioni più idonee non stiamo muovendo un passo verso la libertà, ma verso una prigione.

E lo Yoga, ricordiamolo, è LIBERTA’.

Imparate pure a rilassarvi nelle condizioni più idonee, perché facilitano lo stato.

Se non hai mai sentito il profumo e il gusto di una pesca, ti avvicinerai ad una pesca, la assaggerai. Una volta che hai capito il suo gusto, non occorre trovare sempre e per forza l’albero di pesche mature per strada quando ne vorrai una, ma potrai portarti la pesca con te. Una volta che avrai imparato ad entrare in quello stato di rilassamento, per essere libero e godere della sua efficacia, dovrai portarti il rilassamento con te quando ti servirà.

Ma non ci saranno sempre tutte le condizioni più idonee…

…ed è questa la vera libertà.

Potersi rilassare anche quando NON E’ tutto perfetto.

E’ semplice. Devi lasciar andare l’idea che tutto debba per forza essere perfetto per permetterti di raggiungere quello stato.

Ma chi l’ha mai detto?

E se non ci riesci ancora, abbi compassione di te, amati, datti un abbraccio, fai un sorriso, e riprova.

E allora nel tempo riuscirai a fare un rilassamento profondo senza una tecnica, o seduto su una sedia in un aeroporto rumoroso, oppure in treno, o in un luogo freddo con spifferi d’aria, o avendo solo 5 minuti di tempo a disposizione, o a fianco a tuo figlio che gioca mentre ti rilassi con un occhio mezzo aperto per vedere cosa combina.

Bastano pochi respiri, o anche uno solo… ed espirando molli tutto, entri nello stato profondo.

E se la vita non ti darà nemmeno il tempo di quei cinque minuti proprio quando ne hai più bisogno…

…con un espiro consapevole lascerai andare persino l’idea di aver bisogno di un rilassamento. Rimarrà tutta la stanchezza di prima, certo, ma senza l’attrito del doverla vivere e sopportare, e magari invece con la curiosità di doversela portare appresso ancora un po’, e vedere se si riesce a stare abbastanza vigili e svegli, monitorando come gendarmi il nostro emotivo per non farsi colorare l’umore.

E se accade di ritrovarsi l’umore spigoloso perché stanchi, inspiro profondamente, e faccio un altro espiro, un altro lasciar andare, un altro mollar tutto. Mollare anche l’idea di poter avere tutto sottocontrollo, di poter usare la stanchezza come propulsione per esercitare la nostra attenzione e consapevolezza.

Questa volta è andata così, e nasce un sorriso di vera pace e libertà.

 

 

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